venerdì 2 marzo 2018

Niente ergastolo per l'omicidio del figlio adottivo

Niente ergastolo per l'uccisione del figlio se adottivo. La Cassazione ha depositato ieri le motivazioni della sentenza con la quale aveva escluso il carcere a vita per Andrei Talpis che nel 2013 aveva accoltellato a morte il figlio adottivo ventenne e tentato di uccidere la moglie. I giudici hanno applicato il Codice penale che mantiene la distinzione con i figli legittimi, negando così la possibilità di contestare l'aggravante prevista dal primo comma dell'articolo 577 che scatta in caso di omicidio del discendente. La Suprema corte precisa che nel caso esaminato andava invece considerato il comma secondo in base al quale «la pena è della reclusione da 24 a 30 anni, se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo, o contro un affine in linea retta». Per i giudici non c'è dubbio che l'ergastolo non è in linea con il diritto. Tuttavia la pena che la corte d'Assise d'appello dovrà comminare non dovrà essere inferiore ai 16 anni, con lo sconto effetto del rito abbreviato. I giudici con la sentenza 9427 affrontano anche un aspetto procedurale, considerato rilevante: la questione dell'aggravante, non era, infatti, stata sollevata di fronte alla Corte d'Assiste d'Appello, ma riportata soltanto nei motivi di ricorso. Un problema risolto in via interpretativa sulla base dei due principi fondamentali dell'articolo 597 del codice di rito penale: quello devolutivo e quello del divieto di reformatio in peius. La Suprema corte ricorda che la facoltà del giudice d'appello di dare il corretto inquadramento giuridico al fatto sottoposto alla sua attenzione non rappresenta una violazione del principio devolutivo. Questo a maggior ragione quando la decisione sia migliorativa e non si ponga neppure astrattamente il problema della violazione del divieto di reformatio in peius, che in ogni modo, non vale per la semplice riqualificazione giuridica. Il caso di Andrei Talpis era costato all'Italia una condanna a 30 mila euro inflitte dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo. Per i giudici di Strasburgo le autorità non avevano fatto abbastanza per proteggere la donna e i figli dalla violenze dell'uomo, malgrado la signora e il ragazzo avessero segnalato le violenze domestiche. “le autorità italiane avevano scritto i giudici – hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto, creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza che alla fine hanno condotto al tentato omicidio della donna e alla morte di suo figlio”. Solo il ragazzo infatti aveva cercato di difendere la madre, perdendo così la vita.

fonte: Cassa Forense - Dat Avvocato

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