sabato 3 marzo 2018

Rischi e denunce sottovalutati. Quei femminicidi che si potevano evitare

Dopo un femminicidio annunciato c’è sempre chi prova a dare lezioni su come bisognerebbe denunciare, quando, a chi, con quali parole. Si prova a offrire una giustificazione a quello che viene definito un gesto folle. «Nessuna follia, quando accadono episodi come questi ci troviamo di fronte sempre a gesti molto lucidi, frutto di una sottovalutazione del rischio corso dalla donna e della incapacità di capire le ragioni della sua paura», commenta Maria Monteleone, procuratore aggiunto, alla guida del gruppo di pm che si occupa dei reati contro le vittime vulnerabili come i minori e le donne che subiscono violenze.
Invece di follia meglio usare la parola «sottovalutazioni» come fa anche il ministro dell’Interno Marco Minniti, e evitare lezioni su come e che cosa denunciare. «Il problema non è la terminologia, e quindi l’uso dell’esposto o di una denuncia formale né se la donna racconta di aver già subito violenze o semplici minacce», prosegue Maria Monteleone.
Quello che conta, secondo il magistrato e tutti quelli che si occupano di lotta contro la violenza sulle donne, è attivare una protezione quando esistono alcuni presupposti: una denuncia di maltrattamenti subiti a vario livello, un processo di separazione di coppia, il possesso di armi da parte del partner che non si rassegna alla fine del rapporto.
La tragedia di Cisterna di Latina aveva tutti i presupposti che avrebbero dovuto far scattare un campanello d’allarme eppure a scattare è stato soltanto il grilletto di una pistola creando l’ennesimo femminicidio annunciato. «È un errore continuare a dire che le donne non denunciano. Le donne denunciano, eccome». afferma Lella Palladino, presidente dell’associazione Dire-Donne in rete contro la violenza, che riunisce 77 associazioni che nel 2016 gestivano 83 centri antiviolenza presenti in tutta Italia. «Ma che cosa accade dopo? Questo è il problema. Le parole delle donne vengono sottovalutate, pensano che stiano esagerando. Non solo. Se anche vengono credute e disposti provvedimenti, le misure che permettono di limitare i contatti, allontanare gli uomini violenti e proteggere le donne e i figli sono ancora troppo deboli e complesse da applicare, al punto che spesso è troppo tardi. Servono efficaci misure di prevenzione e un percorso di liberazione che permetta alle donne di rendersi autonome sia da un punto di vista psicologico che economico. E serve immediatamente, nel momento stesso in cui una donna avvia una separazione legale da un uomo violento, o nel caso in cui il marito o ex compagno cominci a perseguitarla».
«Il vero limite è la lentezza della giustizia che spesso non ha pene certe», avverte Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono Rosa
Invece sono complessivamente 6,788 milioni, le donne che in Italia hanno subito, almeno una volta nella loro vita, un atto di violenza fisica o sessuale. E dei quasi 7 milioni di donne che hanno incontrato un uomo violento, in base ai dati Istat del 2016 il 20% ha subito violenza fisica (il 21% violenza sessuale. Su 149 omicidi di donne, in quasi la metà dei casi i responsabili i sono i partner. Secondo la relazione della Commissione parlamentare sul femminicidio approvata lo scorso 6 febbraio nell’ultimo quadriennio i femminicidi rappresentano oltre un quarto degli omicidi commessi. Lo scorso anno, da gennaio a dicembre 2017, sono state 113 le donne che hanno perso la vita, sostiene Sos Stalking. Quasi tutte - prosegue - uccise da mariti, compagni o ex.

Fonte: Rischi e denunce sottovalutati. Quei campanelli d’allarme che non impediscono i femminicidi - La Stampa

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