mercoledì 14 febbraio 2018

Stupefacenti: la diversità delle sostanze non esclude il “fatto lieve”

Ai fini del riconoscimento del fatto di lieve entità (articolo 73, comma 5, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309) la diversità delle sostanze trafficate è un dato di per sé inconsistente, perché non è idoneo da solo a scriminare il “livello” di collocamento del reo nell’ambito del traffico di droga (Cassazione penale, sezione VI, 6 febbraio 2018 n. 5517).
Il caso
La sentenza è di rilievo perché affronta con chiarezza la questione della rilevanza da attribuirsi alla diversa tipologia di sostanze detenute ai fini del riconoscimento/esclusione del fatto di lieve entità di cui all’articolo 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990.
La Corte, nel rigettare il ricorso avverso la sentenza che aveva negata l’ipotesi “minore” di cui al comma 5 dell’articolo 73, proprio sul rilievo della detenzione di sostanze eterogenee [oltre che in ragione della suddivisione delle sostanze già in dosi pronte al commercio], ha ritenuto di “correggere” ex articolo 619, comma 1, c.p.p., quelli che ha ritenuto errori di diritto nella motivazione, pur “salvando” la tenuta della decisione, siccome basata assorbentemente sul quantitativo complessivo delle sostanze oggetto della condotta incriminata, tale da escludere tout court la lievità del fatto.
L’apprezzamento “congiunto”
Si tratta di decisione convincente ed in linea con i principi che devono presiedere l’apprezzamento giudiziale circa la sussistenza o no del fatto di lieve entità.
E’ in proposito assunto pacifico quello secondo cui, in tema di sostanze stupefacenti, la ipotesi attenuata del fatto di lieve entità (articolo 73, comma 5, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309) può essere riconosciuta solo in ipotesi di “minima offensività penale” della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla norma (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri (cfr. Cass. pen. Sezioni unite, 21 giugno 2000, Primavera ed altri; di recente, tra le tante, Cass. pen. Sezione IV, 8 giugno 2016, Agnesse). Ciò in quanto la finalità dell’ ipotesi attenuata si ricollega al criterio di ragionevolezza derivante dall’articolo 3 della Costituzione, che impone – tanto al legislatore, quanto all’interprete- la proporzione tra la quantità e la qualità della pena e l’offensività del fatto. In proposito, dovensosi solo ricordare che nessuna conseguenza, sotto questo specifico profilo, deriva dal novum normativo introdotto dal decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014 n. 10, che ha trasformato l’ipotesi di cui al comma 5 dell’articolo 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 in fattispecie autonoma di reato [scelta normativa ribadita anche a seguito dell’ulteriore modifica introdotta dal decreto legge n. 36 del 2014, convertito dalla legge n. 79 del 2014], giacchè i presupposti del reato sono rimasti gli stessi che potevano giustificare [o, per converso, negare] la concessione dell’attenuante. Va così affermato con chiarezza, infatti, che nella “ricostruzione” della nuova fattispecie autonoma di reato sono utilizzabili gli stessi parametri che caratterizzavano la previgente previsione di circostanza attenuante. Il fatto di “lieve entità”, cioè, deve essere apprezzato considerando i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione nonché la qualità e quantità delle sostanze stupefacenti, riproponendo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, che vale tuttora per cogliere il proprium anche della nuova fattispecie di reato.
I principi cardine, in proposito, sono quelli della “valutazione congiunta” dei parametri normativi e della rilevanza ostativa anche di un solo parametri quando risulti “esorbitante” e cioè chiaramente dimostrativo della “non lievità” del fatto. La valutazione congiunta, infatti, consente di apprezzare, in modo equilibrato, il fatto in tutte le sue componenti, senza peraltro trascurare le connotazioni particolari che assumono, nel concreto, i singoli parametri di riferimento.
In questa prospettiva, come nel caso di specie, risulta evidente la necessità di escludere il fatto lieve quando il quantitativo delle sostanze sia considerevole o esorbitante (così, la citata sentenza Billè, che, quindi, ha ritenuto corretto e congruamente motivato il diniego dell’ipotesi attenuata effettuata valorizzando negativamente il dato quantitativo “considerevole” della sostanza – grammi 266,70 di canapa indiana- ritenuto dimostrativo della significativa potenzialità offensiva della condotta).
Ma risulta evidente che, di per sé solo, il dato della eterogeneità delle sostanze è non sufficientemente significativo per qualificare il fatto come lieve o non lieve, ossia, come precisato qui in motivazione, non è un dato “che possa scriminare il “livello” di collocamento del reo nell’ambito del traffico della droga”.
Pur in presenza di sostanze eterogenee, per escludere il fatto lieve è quindi necessario un apprezzamento di gravità della condotta che passi attraverso l’apprezzamento complessivo della vicenda.
La giurisprudenza
In questo senso è del resto la migliore giurisprudenza.
Così, si è affermato di recente da Cass. pen.Sezione VI, 19 settembre 2017- 10 ottobre 2017, PM in proc. Rachadi ed altri, che, in caso di detenzione di quantità non rilevanti di sostanza stupefacente, la diversa tipologia della sostanza non può di per sè costituire ragione sufficiente ad escludere l'ipotesi di lieve entità di cui all'articolo 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990, qualora le peculiarità del caso concreto siano indicative di una complessiva minore portata dell'attività svolta dallo spacciatore.
E si è parimenti affermato, da Cass. pen.Sezione IV, 13 luglio 2017- 26 ottobre 2017, PG in proc. Amorello ed altri, che la diversa tipologia della sostanza non può di per sè costituire ragione sufficiente ad escludere l'ipotesi di lieve entità, qualora le peculiarità del caso concreto siano indicative di una complessiva minore portata dell'attività svolta dallo spacciatore.
Il principio di diritto
In definitiva, ciò che conta da parte del giudice è la necessità di apprezzare il fatto nella sua complessità. Rispetto a tale apprezzamento è pacifico che la sola eterogeneità delle sostanze non può assumere rilevanza assorbente per escludere la lievità del fatto. Piuttosto, è circostanza di fatto che potrebbe essere valutata negativamente, nel complesso della vicenda, se e quando contribuisse in positivo a dimostrare una particolare pericolosità della condotta, unitamente agli altri elementi oggettivi e soggettivi che il comma 5 dell’articolo 73 impone di valutare.
La suddivisione in dosi
Analogo ragionamento si impone sull’altro argomento sviluppato in motivazione: quello secondo cui anche la suddivisione della sostanza in dosi non è di per sé sintomatico e dimostrativo della non lievità del fatto.
Secondo la Corte ciò si giustifica con il rilievo che proprio la distribuzione in dosi già confezionate è quel che ricorre pressoché di regola nel piccolissimo spaccio.
Ed allora valgono le considerazioni già espresse sulla necessità di una valutazione complessiva, l’unica che consente di formulare un giudizio [lievità/gravità] aderente al caso di specie.
La decisione in sintesi
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Fonte: Stupefacenti: la diversità delle sostanze non esclude il “fatto lieve” | Quotidiano Giuridico

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