giovedì 3 agosto 2017

Sì alla servitù di parcheggio, purchè non inibisca il fondo servente

Lo schema normativo previsto nell'articolo 1027 del Codice civile, secondo cui la «servitù» consiste in un «peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario», non preclude la possibilità di costituire una «servitù di parcheggio», dal momento che la tipicità delle servitù volontarie ha natura strutturale e non contenutistico. La servitù di parcheggio è dunque valida ed ammissibile nella misura in cui l'«utilitas», vale a dire il vantaggio che consegue il fondo dominante, non sia tale da comprimere eccessivamente le facoltà del fondo servente, inibendone l'utilizzo.
È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza del 6 luglio 2017, n. 16698.
I contorni del diritto di servitù sono dunque assai ampi dal momento che quando il legislatore si è occupato dell'istituto, non ha dettato canoni predefiniti volti a circoscrivere quale possa essere l'oggetto della servitù, bensì si è limitato ad affermare che l'utilità che deve discendere dalla costituzione del diritto reale minore possa «consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante» e, del pari, possa «essere inerente alla destinazione industriale del fondo» (articolo 1028 Codice civile).
L'istituto si può quindi prestare per perseguire molteplici fini, dal momento che è ammissibile una servitù nella misura in cui «l'asservimento del fondo servente» sia «tale da non esaurire ogni risorsa ovvero ogni utilità che il fondo servente può dare e il proprietario deve poter continuare a fare ogni e qualsiasi uso del fondo che non confligga con l'utilitas concessa. Diversamente si è fuori dallo schema tipico della servitù».
Il punto della questione ha riguardato la possibilità di costituire una servitù di parcheggio e, ove ammessa, la qualificazione di un simile diritto, cioè se sia da inquadrare nell'ambito dei «diritti personali di godimento» o se si tratti di una «servitù di parcheggio» vera e propria. La Suprema Corte, dopo aver riconosciuto cittadinanza alla «servitù di parcheggio», ha chiarito che per esaurire la prospettata indagine è determinante «l'esame del titolo e della situazione in concreto», dal momento che solo una simile attività consente di «stabilire se sussistano i requisiti del ius in re aliena», vale a dire quelli che contraddistinguono le servitù e, specificamente:
-«l'altruità della cosa», cioè la circostanza secondo cui il fondo dominante e quello servente si devono trovare in capo a soggetti diversi;
-«l'assolutezza», vale a dire la tutelabilità del diritto nei confronti di chiunque (erga omnes);
-«l'immediatezza», che consiste nella diretta soggezione della cosa al potere del titolare;
-«l'inerenza al fondo servente», cioè l'opponibilità del diritto a chiunque vanti diritti sul fondo servente potenzialmente in conflitto con la servitù;
-«l'inerenza al fondo dominante», vale a dire che la cosa sia utilizzata (nel caso di specie a parcheggio), senza pregiudicarne l'originaria destinazione;
-«la specificità dell'utilità riservata», cioè l'esatta area ricompresa nel fondo servente interessata dal diritto di servitù;
-«la localizzazione», intesa quale individuazione del luogo di esercizio della servitù.
Più precisamente, i giudici hanno chiarito che il confine tra «diritto di servitù» e «diritto personale di godimento» risiede nel fatto che, mentre il primo presuppone che l'asservimento sia volto a procurare un'utilità al fondo dominante, cui corrisponde un peso a carico del fondo servente, invece, si ricade entro il perimetro del «diritto personale di godimento» quando «il diritto attribuito sia previsto esclusivamente per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo e senza alcuna funzione di utilità fondiaria» (Cassazione 29 agosto 1991 n. 9232).
La realità che contraddistingue i diritti reali su cosa altrui, come il diritto di servitù, implica dunque l'esistenza di un legame strumentale ed oggettivo, diretto ed immediato, tra il peso imposto al fondo servente ed il godimento del fondo dominante e non è dunque legato, bensì prescinde dalla persona che esercita il diritto. Ne discende che il carattere della realità, avendo valenza oggettiva e non soggettiva, non sia idoneo ad escludere il diritto di parcheggiare l'auto sul fondo altrui, quando tale facoltà sia costruita come vantaggio a favore del fondo, per la sua migliore utilizzazione: si pensi al caso del fondo a destinazione abitativa, il cui utilizzo è innegabilmente incrementato dalla possibilità, per chi sia proprietario, di parcheggiare l'auto nelle vicinanze dell'abitazione.
Nel caso in esame la Corte di Cassazione si è dunque discostata dal precedente giurisprudenziale invocato nella sentenza impugnata dalla Corte d'Appello di Venezia a supporto della propria decisione, secondo il quale «il parcheggio dell'auto non rientra nello schema del diritto di servitù per difetto di realità, cioè di inerenza dell'utilità al fondo dominante e del peso al fondo servente, in quanto la comodità di parcheggiare l'auto per le specifiche persone che accedono al fondo si traduce in un vantaggio personale dei proprietari». (Cassazione 21 gennaio 2009 n. 1551; nello stesso senso Cassazione 13 settembre 2012 n. 15334; Cassazione 22 settembre 2009 n. 20409).
Il provvedimento merita dunque di essere segnalato in quanto supera la posizione assunta da una parte della giurisprudenza giunta a considerare addirittura nullo, per impossibilità dell'oggetto, il contratto che riconosca o costituisca una servitù di parcheggio di autovetture, proprio in ragione dell'asserita assenza di utilità a favore del fondo dominante, concretizzandosi invece in una mera commoditas di parcheggiare, comportante un vantaggio per determinate persone (Cassazione 6 novembre 2014 n. 23708; Cassazione 7 marzo 2013 n. 5769)

Fonte:Cassa Forense - Dat Avvocato

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