In caso di fallimento dell’impresa datrice di lavoro dopo il licenziamento d’un suo dipendente, questi ha interesse ad una sentenza di reintegra nel posto di lavoro, dalla quale possono scaturire una serie di utilità, quali la ripresa del lavoro (in relazione all’eventualità di un esercizio provvisorio, d’una cessione dell’azienda o della ripresa della sua amministrazione da parte del fallito a seguito di concordato fallimentare o di ritorno in bonis) o l’eventuale ammissione ad una serie di benefici (indennità di cassa integrazione, di disoccupazione, di mobilità).
È quanto ha deciso la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 2975 del 3 febbraio 2017.
Nel caso di specie, il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione in quanto il giudice del merito, pur avendo accertato l’illegittimità del licenziamento intimatogli, non aveva disposto la reintegra nel posto di lavoro perché, nelle more, era intervenuto il fallimento della società ed era cessata l’attività produttiva.
Ma, denuncia il ricorrente, l’omessa reintegra non gli ha permesso di proseguire l’attività, ex art. 2112 c.c., alle dipendenze della ditta che aveva preso in affitto un ramo dell’azienda fallita, come per tutti gli altri ex dipendenti.
Sul punto, osserva la Suprema Corte, per consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., ex aliis, Cass. n. 7129/11; Cass. n. 16867/11; Cass. n. 4051/04) “permane la competenza funzionale del giudice del lavoro, in quanto la domanda proposta non è configurabile come mero strumento di tutela di diritti patrimoniali da far valere sul patrimonio del fallito, ma si fonda anche sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all’interno dell’impresa fallita, sia per l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa (conseguente all’esercizio provvisorio ovvero alla cessione dell’azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, estranei all’esigenza della par condicio creditorum”.
Né all’invocata pronuncia di reintegra osta la cessazione dell’attività della società fallita, erroneamente riferita, dal giudice del merito, come dirimente ai fini del diniego del provvedimento richiesto dal lavoratore.
Al contrario, secondo l’indirizzo prevalente (cfr. Cass. n. 6612/03; Cass. n. 11010/98), “in caso di fallimento dell’impresa datrice di lavoro dopo il licenziamento d’un suo dipendente, questi ha interesse ad una sentenza di reintegra nel posto di lavoro, previa dichiarazione giudiziale dell’illegittimità del licenziamento, pronuncia che non ha ad oggetto solo il concreto ripristino della prestazione lavorativa (che presuppone la ripresa dell’attività aziendale previa autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa), ma anche le possibili utilità connesse al ripristino del rapporto”.
Fonte: www.altalex.com/Reintegra del lavoratore ammissibile anche se l’azienda è fallita | Altalex
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giovedì 23 febbraio 2017
Reintegra del lavoratore ammissibile anche se l’azienda è fallita
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