La reticente condotta tenuta dal lavoratore che, in sede di selezione, abbia omesso di dichiarare, tra le precedenti esperienze lavorative, di essere stato licenziato per giusta causa non può essere considerata lesiva del rapporto di fiducia intercorrente con il datore di lavoro e non può dunque costituire giusta causa di licenziamento. Lo ha affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 27585/16 del 30 dicembre.
Il caso. La Corte d’appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla società Autostrade per l’Italia ad un dipendente. La società gli contestava di aver omesso, nella menzione dei suoi precedenti rapporti di lavoro, quello intercorso con un altro datore di lavoro e successivamente cessato per licenziamento per giusta causa, circostanza di cui Autostrade per l’Italia era venuta a conoscenza solo dopo l’assunzione.
La Corte d’appello ha ritenuto che la sanzione del licenziamento fosse sproporzionata rispetto alla mancanza commessa dal lavoratore, in considerazione del rapporto comunque intercorso tra le parti e protrattosi per ben due anni, durante i quali egli non era mai stato sottoposto ad alcun provvedimento disciplinare. Pertanto l’informazione inesatta ed incompleta fornita dal lavoratore al momento dell’assunzione non era ritenuta tanto grave da comportare il licenziamento.
Autostrade per l’Italia decide di ricorrere in Cassazione affermando che la gravità del comportamento doveva essere valutata al momento del suo compimento e non della successiva scoperta, aggiungendo l’irrilevanza del fatto che il lavoratore non aveva commesso altri illeciti disciplinari.
Rapporto fiduciario tra azienda e lavoratore. La Corte d’appello, per stabilire se la lesione del rapporto fiduciario fosse avvenuta e fosse tale da giustificare la massima sanzione del licenziamento, ha ritenuto opportuno valutare il comportamento del lavoratore valorizzando la diligente e corretta condotta da esso tenuta nel corso del rapporto di lavoro protrattosi per ben due anni. Se infatti, al momento dell’assunzione, il comportamento contestato al lavoratore poteva assumere rilevanza sulla complessiva valutazione di affidabilità dell’azienda sul proprio dipendente, non può successivamente essere considerato lesivo – in maniera irrimediabile – della fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro.
Gli Ermellini dunque, condividendo le argomentazioni del giudice, ritengono che il licenziamento non sia proporzionato alla violazione commessa dal lavoratore e rigettano il ricorso di Autostrade per l’Italia.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it/La “bugia bianca” del lavoratore non giustifica il licenziamento - La Stampa
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martedì 3 gennaio 2017
La “bugia bianca” del lavoratore non giustifica il licenziamento
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