venerdì 9 dicembre 2016

Basta la pianta o serve il principio attivo? Il caso della coltivazione domestica

In tema di coltivazione casalinga di canapa indiana e valutazione dell’offensività della condotta, la Corte di Cassazione prende posizione su due orientamenti contrastanti. Corte di Cassazione con la sentenza n. 51416/16 depositata il 2 dicembre.
Il caso. Un “coltivatore domestico” di marijuana veniva condannato in appello a 2 mesi e 10 giorni di reclusione. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione, con due ordini di motivi, di cui uno, infine accolto, era attinente al trattamento sanzionatorio applicabile all’imputato. Ma il secondo motivo di impugnazione è sicuramente di maggiore interesse.
Anche se la marijuana “non sballa”… L’uomo lamenta la mancata verifica, ad opera del Giudice d’appello, della effettiva offensività della condotta, e cioè, nel caso specifico, della concreta efficacia drogante della marijuana coltivata.
Esistono due orientamenti giurisprudenziali opposti: il primo prevede che l’offensività della condotta sia presumibile semplicemente dalla «conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine […] a produrre la sostanza stupefacente»; il secondo, invece, esige che l’effettiva e attuale capacità psicotropa della droga sia verificata nel caso concreto.
… la coltivazione domestica è illegale. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 51416/16 depositata il 2 dicembre ritiene di doversi uniformare al principio di diritto per il quale è penalmente rilevante qualsiasi attività volta alla coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze psicotrope, anche quando finalizzata al consumo personale del coltivatore.
L’unica eccezione a quanto appena detto va considerata solo nell’ipotesi (invero residuale) in cui «la sostanza ricavata o ricavabile risulti priva della capacità ad esercitare, anche in misura minima, effetto psicotropo».
Nel caso di specie, tra l’altro, a parere della Corte non è verosimile la totale assenza di principio attivo nella marijuana, come invece allegato dal ricorrente, in quanto quest’ultimo era in possesso di «strumenti atti al confezionamento di droga da cedere a terzi» e delle foglie essiccate e teneva la pianta nascosta.
Per tali ragione la Corte ha respinto il primo motivo del ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Basta la pianta o serve il principio attivo? Il caso della coltivazione domestica - La Stampa

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