Un soggetto veniva condannato dalla competente Corte di Assise d’Appello alla pena di anni sei di reclusione - a titolo di continuazione riconosciuta rispetto al delitto, ritenuto più grave, giudicato con altra sentenza divenuta irrevocabile – per delitti di omicidio premeditato, commesso e tentato, previo riconoscimento in suo favore della attenuante della collaborazione prevista dall’art. 8 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152.
Il giudice di appello rigettava in particolare, tra gli altri motivi di impugnazione, quello relativo alla estinzione dei reati per maturata prescrizione. La difesa dell’imputato sosteneva infatti che i reati di omicidio premeditato, l’ultimo dei quali commesso nel giugno 1988, erano stati perpetrati prima della entrata in vigore della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (cd. “ex-Cirielli) che ha reso imprescrittibili i reati puniti con la pena dell’ergastolo: di modo che, dovendosi applicare i commi secondo e terzo dell’art. 157 c.p., nella formulazione più favorevole previgente alla novella legislativa, erano pacificamente scaduti i termini massimi di prescrizione.
La Corte di Assise di Appello disattendeva tale impostazione, affermando, in linea con un principio già espresso nella giurisprudenza di legittimità, che un delitto punibile in astratto con l’ergastolo - quale quello di omicidio aggravato – commesso in epoca anteriore alla entrata in vigore della modifica dell’art. 157 c.p., è imprescrittibile, anche se le circostanze attenuanti siano valutate come equivalenti o addirittura prevalenti sulle aggravanti che comportano la pena perpetua.
La difesa proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che per determinare il termine di prescrizione deve aversi riguardo alla concreta e specifica configurazione finale del reato, di modo che, avendo i giudici di merito riconosciuto l’attenuante della collaborazione (di cui all’art. 8 del d.l. n. 152 del 1991) che comporta la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella della reclusione da dodici a venti anni, trova applicazione l’art. 157, comma primo, n. 2, c.p., nella previgente scrittura, che fissava il termine massimo di prescrizione, in relazione a tale pena edittale, in anni ventidue e mesi sei, oramai decorsi rispetto all’epoca di commissione del reato; né poteva valere il principio richiamato dal giudice di appello, posto che la riduzione della pena non agisce per effetto della neutralizzazione delle circostanze aggravanti, ma deriva dal riconoscimento della attenuante ad effetto speciale della collaborazione che sostituisce ex lege la pena dell’ergastolo con la reclusione.
La prima sezione penale della Cassazione rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, denunciando l’esistenza di un contrasto interpretativo, nella giurisprudenza della Corte, relativamente alla prescrizione o imprescrittibilità del reato di omicidio aggravato punibile con l’ergastolo, ove commesso prima della modifica dell’art. 157 c.p. operata dalla “ex-Cirielli” ed ove ritenuta riconoscibile l’attenuante della collaborazione.
L'art. 157 c.p., nella versione antecedente le modifiche, prevedeva infatti al comma 2 che per determinare il tempo necessario alla prescrizione dovesse guardarsi al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell'aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti; ai sensi del comma 3, inoltre, in caso di concorso tra circostanze aggravanti e attenuanti, doveva farsi applicazione dell'istituto del bilanciamento di cui all'art. 69 c.p.
La norma come riformulata nel 2005, al contrario, stabilisce, al comma 2, che ai fini della determinazione del tempo necessario alla prescrizione debba aversi riguardo unicamente al massimo della pena prevista dalla norma incriminatrice per il reato consumato o tentato, mentre non si tiene conto della diminuzione di pena per le circostanze attenuanti e dell'aumento di pena per le circostanze aggravanti, salvo il caso del ricorrere di circostanze aggravanti a effetto speciale e di circostanze aggravanti per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa.
I precedenti nella giurisprudenza di legittimità
Sulla questione portata all’attenzione del supremo collegio si è in effetti registrato un contrasto interpretativo piuttosto netto.
Secondo un primo orientamento (Sez. 1, n. 11047 del 7 febbraio 2013; Sez. 1, n. 41964 del 22 ottobre 2009), non v'è alcuna differenza tra la disciplina attualmente vigente e quella precedentemente in vigore quanto alla imprescrittibilità del reato punito con la pena dell'ergastolo.
Infatti, la giurisprudenza sia di legittimità che di merito, in base alla formulazione letterale dell'art. 157 c.p. nel testo previgente - che prevedeva l'applicabilità della prescrizione ai soli reati puniti con le pene della reclusione, dell'arresto, della multa e dell'ammenda - aveva già univocamente ritenuto, con argomentazione a contrario, che solo i reati per i quali la legge stabiliva la pena dell'ergastolo, dovevano ritenersi imprescrittibili: sicché la nuova formulazione dell'art. 157 c.p., ponendosi in un rapporto di assoluta continuità con l'indicato orientamento giurisprudenziale, non ha fatto altro che recepire l'indicato principio di diritto nell'ordinamento positivo in occasione di una generale ridefinizione dell'istituto della prescrizione, anche allo scopo di dirimere ogni possibile controversia connessa alla problematica se, per l'affermazione dell'imprescrittibilità del reato, fosse sufficiente l'astratta punibilità dello stesso con la pena dell'ergastolo ovvero l'applicazione effettiva delle circostanze aggravanti tale da comportare una condanna alla pena dell'ergastolo.
Esiste tuttavia un diverso indirizzo, secondo cui il delitto di omicidio aggravato, punibile in astratto con la pena dell'ergastolo, è imprescrittibile soltanto se commesso dopo la modifica dell'art. 157 c.p. da parte della legge n. 251 del 2005.
Secondo tale posizione, infatti, prima della riforma della legge n. 251 del 2005 erano imprescrittibili solo i reati per i quali era stata effettivamente irrogata, in sentenza, la pena dell'ergastolo. A sostegno di tale ultima affermazione, veniva richiamata un principio di diritto - esplicitamente affermato da Sez. VI, n. 25680 del 9 gennaio 2003, dep. 12 giugno 2003, Piscicelli, Rv. 226420 - che, sia pure non riferito a reati punibili in astratto con l'ergastolo, aveva ritenuto che “…il termine di prescrizione deve essere computato in riferimento alla specifica e concreta configurazione finale che del fatto il giudice abbia ritenuto in sentenza, avuto riguardo alla qualificazione giuridica ed agli elementi circostanziali, e ciò anche in relazione alle fasi processuali precedenti, dovendosi in base ad esso stabilire, nella verifica di eventuale estinzione del reato, l'efficacia dei fatti interruttivi o sospensivi di volta in volta intervenuti”.
Tale essendo la disciplina previgente, in quanto più favorevole al reato rispetto a quella attualmente in vigore (che esclude la prescrizione per il solo effetto della previsione normativa della pena dell’ergastolo), essa deve essere necessariamente applicata ultrattivamente, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, c.p., in relazione ai delitti commessi prima della modifica dell’art.157 c.p. e non puniti, in concreto, con la pena dell’ergastolo per effetto del riconoscimento di attenuanti che agiscono in senso trasformativo in reclusione della pena perpetua edittalmente prevista.
La decisione delle Sezioni Unite
Nel risolvere il contrasto, gli Ermellini osservano preliminarmente che il quesito, ancorché formulato con esclusivo riferimento al delitto di omicidio aggravato e alla incidenza del riconoscimento della speciale attenuante della collaborazione, ha in realtà una portata più generale, investendo tutte le ipotesi nelle quali la ravvisata esistenza di circostanze attenuanti comporti, per fatti commessi nel regime previgente, l’applicazione di pene detentive temporanee in luogo dell’ergastolo edittalmente contemplato.
Ciò premesso, le Sezioni Unite osservano:
- che anche prima della modifica dell’art. 157 c.p. era incontestato che i delitti punibili con l’ergastolo fossero assolutamente imprescrittibili e che fosse del tutto ininfluente l’eventuale riconoscimento di circostanze attenuanti che in concreto comportasse l’applicazione di pena detentiva temporanea in luogo di quella a vita;
- che solo di recente (con la citata sentenza n.9391 del 17 gennaio 2013) si è fatta strada l’opinione - calibrata sulla fattispecie di omicidio aggravato ex art. 576 comma 1 c.p. commesso da minore in epoca precedente alla entrata in vigore della “ex- Cirielli”, nel concorso della diminuente dell’età e delle circostanze attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla aggravante ad effetto speciale – secondo la quale il delitto soggiace al termine di prescrizione, per effetto del riconoscimento di circostanze attenuanti che, a vario titolo, comunque impediscono in concreto l’irrogazione della pena perpetua;
- che peraltro, proprio con riferimento ai soggetti minorenni, la questione è oramai irrilevante, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 168 del 1994 che ha dichiarato la contrarietà alla Carta delle disposizioni degli artt. 17 e 22 c.p. nella parte in cui consentono che i minori siano passibili, anche in astratto, della irrogazione della pena dell’ergastolo;
- che invece, in generale, deve essere "… riaffermato il tradizionale orientamento della assoluta imprescrittibilità dei delitti, commessi anteriormente all’8 dicembre 2005, punibili con pena dell’ergastolo, pur nel caso in cui il riconoscimento di circostanze attenuanti comporti l’irrogazione della pena detentiva temporanea… ", posto che, sul piano normativo, la considerazione della pena in concreto irrogata dal giudice è del tutto irrilevante ai fini della prescrizione, anche nel caso del reato circostanziato: la Corte ricorda infatti che il termine di prescrizione deve essere computato in riferimento alla specifica e concreta configurazione finale che del fatto il giudice abbia ritenuto in sentenza, avuto riguardo alla qualificazione giuridica ed agli elementi circostanziali, senza che sul termine medesimo influisca in alcun modo la pena applicata in concreto (Sez. 6, Ordinanza n. 25680 del 9 gennaio 2003);
- una volta dunque configurata dal giudice la fattispecie come reato punito con l’ergastolo – come nel caso in cui venga riconosciuta l’ipotesi di omicidio premeditato – è allora la stessa previsione normativa dell’art. 157 c.p., nella formulazione previgente al testo in vigore, a segnare il discrimine, nella misura in cui la norma reca una disciplina della prescrizione dei soli reati per i quali tale istituto è previsto dall’ordinamento giuridico, determinando in tal modo “per esclusione” (per effetto implicito cioè della omessa considerazione in tale disciplina positiva) la classe dei reati imprescrittibili;
- per ultimo, i riferimenti contenuti nell’art. 157, secondo comma, c.p. (nel testo originario), all’aumento massimo e alla diminuzione minima delle sanzioni, anche in correlazione col giudizio di comparazione, testimoniano che tali disposizioni si applicano (e non potrebbero diversamente) solo alle pene detentive temporanee, ad ulteriore dimostrazione della impossibilità di applicare la intera materia della prescrizione ad una categoria, quella dei reati puniti con l’ergastolo, esclusa in radice dalla disciplina.
Per legger la sentenza clicca qui: 19756 pdf.pdf
Fonte: www.quotidianogiuridico.it
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giovedì 19 maggio 2016
Sezioni unite: imprescrittibile il delitto punibile con ergastolo commesso prima della modifica dell’art. 157 c.p.
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