La Consulta, con la sentenza n. 74 del 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, c.p., nel testo risultante dalle modifiche recate con la legge ex Cirielli, nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, c.p.) della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990. Si tratta della previsione per la quale tutte le pene previste nella norma citata, che sanziona la detenzione illegale di stupefacenti e le connesse fattispecie di cessione e traffico, sono sensibilmente diminuite (dalla metà a due terzi) nei confronti di chi assume atteggiamenti collaborativi, ed in particolare «si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti».
L'ostacolo alla dichiarazione di prevalenza dell'attenuante non derivava, com'è noto, da una previsione specifica, ma dal disposto generale del quarto comma dell'art. 69, che, per la recidiva come per altre fattispecie aggravanti, esclude la soccombenza in riferimento ad ogni possibile circostanza attenuante.
Nell'ambito della propria giurisprudenza sulla necessaria ragionevolezza delle preclusioni concernenti norme con effetti favorevoli, la Corte costituzionale ha ormai più volte sindacato la previsione in esame, senza negarne radicalmente la compatibilità costituzionale, e tuttavia verificando, caso per caso, se fosse giustificata la presunzione assoluta sottesa al divieto di prevalenza delle attenuanti: che, cioè, la condizione di recidiva reiterata, nell'economia complessiva di ciascun concreto episodio di reato, abbia sempre un peso tale da giustificare l'eliminazione degli effetti diminuenti di ogni possibile circostanza attenuante.
L'esito dei giudizi precedenti era stato sfavorevole alla normativa introdotta nel 2005. Con la sentenza n. 251 del 2012 la Corte aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del quarto comma dell'art. 69 c.p. nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza dell'attenuante prevista dal comma 5 del citato art. 73 del T.u. in materia di stupefacenti. In seguito, e precisamente con la sentenza n. 105 del 2014, era intervenuta la dichiarazione di illegittimità costituzionale della stessa norma nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza di cui all'art. 648, secondo comma, c.p. Ancora, con la sentenza n. 106 del 2014, la Corte aveva reintrodotto la possibilità di prevalenza sulla recidiva reiterata dell'attenuante di cui all'art. 609-bis, terzo comma, c.p.
Oggi, come si è visto, l'automatismo è caduto anche per l'attenuante della collaborazione nell'ambito dei procedimenti per fatti di narcotraffico. Nella specie la Corte ha ricordato che la previsione del comma 7 dell'art. 73 ha la specifica funzione di «incentivare il ravvedimento post-delittuoso del reo, rispondendo, sia all'esigenza di tutela del bene giuridico, sia a quella di prevenzione e repressione dei reati in materia di stupefacenti». È dunque contraddittorio che il legislatore, nel caso dei recidivi, neutralizzi la spinta incentivante con la previsione che, anche nel caso di collaborazione, le pene dell'art. 73 (notoriamente molto elevate) non possano essere diminuite.
D'altra parte la scelta collaborativa rappresenta una forma qualificata di condotta susseguente al reato, il cui rilievo non può essere presuntivamente svilito, posto che si tratta d'un fattore assai rilevante sul piano della pericolosità (non necessariamente sintomatico di resipiscenza, ma certo significativo della dissoluzione di pregressi legami criminali). La Corte aveva già osservato, con la sentenza n. 183 del 2011 (dichiarativa della parziale illegittimità dall'art. 62-bis c.p.), come la rigida presunzione d'una elevata capacità a delinquere - fondata sulla condizione di recidiva reiterata e tale da precludere l'applicazione di attenuanti generiche - fosse «inadeguata ad assorbire e neutralizzare gli indici contrari, che possono desumersi, a favore del reo, dalla condotta susseguente, con la quale la recidiva reiterata non ha alcun necessario collegamento. Mentre la recidiva rinviene nel fatto di reato il suo termine di riferimento, la condotta susseguente si proietta nel futuro e può segnare una radicale discontinuità negli atteggiamenti della persona e nei suoi rapporti sociali», così da provare di ogni razionale giustificazione l'effetto preclusivo introdotto dal legislatore.
Lo stesso ragionamento ovviamente s'imponeva, mutatis mutandis, di fronte alla pretesa che una condotta susseguente di particolare significato, come la collaborazione con gli inquirenti, restasse sempre inidonea, per il sol fatto della recidiva, ad indurre un effettivo contenimento dei valori di pena previsti per i fatti di narcotraffico. V'erano dunque ragioni congruenti e specifiche per pervenire all'odierna dichiarazione di illegittimità.
Del resto, la particolare sequenza concernente il bilanciamento tra circostanze si trova ormai inserita in un quadro ove la stessa e generale previsione di effetti obbligatori della recidiva reiterata è rimasta travolta dal giudizio di ragionevolezza, attraverso la recente dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 99, quinto comma, c.p., proprio nella parte in cui prevedeva casi di applicazione obbligatoria dell'aggravante (sentenza n. 185 del 2015). Tanto che vi sarebbe da chiedersi, a questo punto, se ancora si imponga un metodo casistico per valutare automatismi minori e più specifici.
Fonte: www.penalecontemporaneo.it//DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO
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martedì 12 aprile 2016
Illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante della collaborazione per i reati di narcotraffico
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