Coltivare in casa due piantine di canapa indiana (marijuana) per uso personale non costituisce reato. Ad affermarlo è stata la Sesta sezione penale della Cassazione, che con una sentenza (5254/16) depositata lo scorso 8 febbraio ha annullato la sentenza di condanna emanata nel novembre 2013 dalla Corte d’appello di Trento nei confronti di una coppia di ventenni, colpevole di aver coltivato in un armadietto-serra della propria abitazione due piante di canapa indiana, e di detenere un essicatore per il trattamento delle foglie prodotte.
Secondo la Cassazione, l’interpretazione fornita dai giudici di merito nella loro condanna, secondo la quale la coltivazione di piante per la produzione di sostanze stupefacenti è sempre punibile a prescindere dal suo eventuale uso personale, risulta essere “indubbiamente rigida”, ed a questa deve invece essere opposta una valutazione circa l’esistenza di una ”offensività concreta” della condotta. Sulla base di questo principio, più volte evidenziato negli ultimi anni dalla Corte costituzionale e dalla stessa Cassazione, la Sesta sezione penale di Palazzo di Giustizia ha riconosciuto la sostanziale inoffensività della coltivazione casalinga di due piantine di canapa, in virtù del suo “conclamato uso esclusivamente personale” e della sua “minima entità”, tale da escludere “la possibile diffusione della sostanza producibile e/o l’ampliamento della coltivazione” stessa.
Come stabilito infatti dalle Sezioni Unite della Cassazione con due sentenze gemelle del 2008, pur essendo la coltivazione delle piante di marijuana penalmente rilevante a prescindere dalla destinazione del prodotto (quindi anche per uso personale), spetta al giudice di volta in volta verificare se la condotta contestata sia idonea o meno a “mettere a repentaglio il bene giuridico protetto”, ossia la salute pubblica. In altre parole, la punibilità per la coltivazione di questo genere di piante “va esclusa allorché il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto”, cioè se la sostanza ricavabile “non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile”.
Tale indicazione, come è intuibile, lascia spazio ad una marcata discrezionalità da parte delle autorità giudiziarie in relazione alle diverse fattispecie sollevate. Nell’aprile del 2014, ad esempio, sempre la Sesta sezione della Corte di Cassazione ha annullato, come accaduto con la recente sentenza, la condanna nei confronti di una persona che aveva coltivato nella propria casa due piantine di marijuana di modeste dimensioni, dal momento che tale attività rendeva “irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa”. Circa un mese dopo, al contrario, la stessa sezione di Palazzo di Giustizia ha confermato la condanna nei riguardi di una persona che nella propria casa aveva coltivato tre piante di canapa indiana di grandi dimensioni, precisando che ai fini del giudizio non rileva la quantità di principio attivo di THC, ma “la conformità delle piante al tipo botanico previsto e la loro attitudine (anche per modalità e cura di coltivazione) a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente utilizzabile per il consumo».
La pronuncia della Cassazione recentemente depositata giunge mentre presso la commissione riunita Affari sociali di Camera e Senato è in corso da alcune settimane la discussione su un disegno di legge che mira a riformare la disciplina in materia, segnata dall’abrogazione nel febbraio 2014 della legge Fini-Giovanardi da parte della Corte costituzionale. Il provvedimento, presentato da un intergruppo parlamentare e firmato da più di 200 deputati e senatori di maggioranza ed opposizione, prevede la depenalizzazione e parziale liberalizzazione della vendita di marijuana.
fonte: www.lastampa.it//Coltivare in casa due piantine di marijuana per uso personale non costituisce reato - La Stampa
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giovedì 11 febbraio 2016
Coltivare in casa due piantine di marijuana per uso personale non costituisce reato
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