mercoledì 11 novembre 2015

"Pause caffè" a ripetizione: "gps" e investigatori privati inchiodano il lavoratore

Con un ‘Gps’ installato sull’automobile aziendale sono monitorati costantemente i movimenti del lavoratore. E ‘certificate’, di conseguenza, le sue tante – troppe – ‘pause caffè’. Ciò – assieme a una corposa relazione di un’agenzia investigativa privata, operativa su incarico dell’azienda – rende legittimo il licenziamento del dipendente (Cassazione, sentenza 20440/15).

Il caso

Tempistica strettissima, quella adottata dall’azienda: il 21 settembre gli «illeciti disciplinari» del dipendente; neanche un mese dopo la «lettera di contestazione»; infine, il 30 ottobre il «licenziamento». Provvedimento, quello aziendale, reso ancora più significativo dal ruolo occupato dal lavoratore, ossia «coordinatore dell’operato di altri dipendenti addetti alla nettezza urbana nel territorio» di diversi Comuni. La contestazione nei confronti dell’uomo è di «essersi allontanato dalla sede aziendale», in orario di lavoro, per «trattenersi in bar o ‘tavole calde’» – e comunque «fuori dalla zona di attività dell’impresa» – per «conservare, ridere e scherzare con i colleghi».

Risulta decisiva la ricostruzione dei «movimenti» dell’automobile aziendale, dotata di ‘global positioning system’, e la documentazione messa sul tavolo da una agenzia investigativa privata, che, su incarico dell’azienda, ha monitorato il lavoratore. A fronte di un quadro così delineato, per i giudici di merito non vi sono dubbi: è evidente la lesione del «nesso fiduciario» coll’azienda, ed è giustificato il «licenziamento». Ciò perché sì il dipendente «era dotato di autonomia operativa per il raggiungimento degli obiettivi», ma «gli abbandoni del lavoro erano risultati senza adeguata giustificazione», e di sicuro non può «giustificare la durata delle soste nei bar l’assunzione di farmaci diuretici».

La battaglia finisce in Cassazione, dove il dipendente ribadisce le proprie contestazioni in merito sia alla forma che alla sostanza del licenziamento. Sono tre i nodi proposti dal legale dell’uomo: la tempistica; gli strumenti utilizzati per monitorare i movimenti del dipendente; il ‘peso specifico’ della violazione compiuta dal lavoratore. Ma ogni obiezione si rivela inutile, poiché anche per i giudici della Cassazione la linea seguita dall’azienda è inattaccabile. Innanzitutto, viene evidenziato che «i fatti sono stati conosciuti dalla società non prima del 21 settembre», quindi «la contestazione del successivo 18 ottobre non è tardiva».

Allo stesso tempo, viene affermato che «il periodo più breve di un mese» non ha potuto «pregiudicare le possibilità di difesa del lavoratore», così come «non è credibile che un mese di silenzio possa avere ingenerato nel lavoratore l’affidamento in una rinunzia all’esercizio del potere disciplinare». Per quanto concerne, poi, l’utilizzazione, da parte dell’azienda, di «investigatori privati» e del «sistema satellitare ‘gps’» per il monitoraggio degli spostamenti del lavoratore, i giudici ritengono tale decisione corretta, poiché finalizzata a verificare eventuali «comportamenti lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale» Tutto ciò consente ai giudici della Cassazione di confermare la legittimità del «licenziamento» del dipendente, provvedimento ritenuto proporzionale rispetto alla «gravità dei fatti» contestati all’uomo, ossia le ripetute «diserzioni dal lavoro», non giustificabili, di certo, con presunte «necessità fisiologiche».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /"Pause caffè" a ripetizione: "gps" e investigatori privati inchiodano il lavoratore - La Stampa

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