Il giudice chiamato a rideterminare in meglio la pena, a seguito della declaratoria di incostituzionalità della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti, non può limitarsi, secondo la sentenza 35980/2015 della Corte di Cassazione, ad una operazione di ricalcolo matematico e proporzionale, essendo tenuto ad esercitare appieno i propri poteri valutativi disciplinati dall'articolo 133 c.p.
Il contesto normativo
La Corte di cassazione continua a fornire le indicazioni operative sulla corretta applicazione della disciplina sanzionatoria degli stupefacenti dopo la nota sentenza n. 32 del 2014 con cui la Corte costituzionale, dichiarando incostituzionale la legge Fini-Giovanardi, ha determinato, per le droghe “leggere”, il ritorno alla più favorevole previgente normativa contenuta nella legge Vassalli-Iervolino.
Infatti, il “recupero” del previgente articolo 73, comma 4, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 determina che, per le droghe “leggere” [tabelle II e IV], devono ora applicarsi le sanzioni della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.164 a euro 77.468, mentre il trattamento sanzionatorio previsto nel comma 1 dello stesso articolo 73, nel testo introdotto dalla Fini-Giovanardi, prevedeva le più gravi sanzioni della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000.
Le conseguenze
Ebbene, non è dubbio che coloro che siano stati condannati per fatti relativi a droghe “leggere” prima dell’intervento della Corte costituzionale, hanno diritto a vedersi applicata, ai sensi dell’articolo 2, comma 4, c.p., la disciplina anteriore alla legge Fini-Giovannardi, senz’altro più favorevole.
Esattamente, però, precisa qui la Cassazione, il giudice chiamato a determinare la pena (anche se chiamato a pronunciarsi a seguito di annullamento con rinvio da parte della Cassazione) non è vincolato nei propri poteri valutativi dall’apprezzamento del primo giudice (ergo, il giudice che, in precedenza, ha applicato la pena più grave prevista dalla disciplina dichiarata incostituzionale), nel senso che non è tenuto a procedere solo ad una operazione di ricalcolo matematico e proporzionale della pena.
L’unico limite che incontra il giudice, a ben vedere, è quello del divieto di reformatio in peius, nei limiti di cui all’articolo 597, comma 3, c.p.p. quanto alla pena complessiva.
La regola di condotta
In altri termini, deve ritenersi che il giudice di appello chiamato ad applicare per gli illeciti relativi a droghe “leggere”, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, la più favorevole normativa prevista dall’articolo 73, comma 4, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 49 del 2006 [c.d. legge Fini-Giovanardi], non trova alcun vincolo derivante dalla pena precedentemente irrogata se non quello del divieto di reformatio in peius nei limiti di cui all’articolo 597, comma 3, c.p.p. quanto alla pena complessiva.
Ciò significa che il giudice ha certamente l’obbligo di applicare la normativa più favorevole che rivive, per le droghe “leggere”, dopo la richiamata sentenza della Corte costituzionale ed ha anche l’obbligo collegato al divieto della reformatio in peius sulla pena in assenza di impugnazione della parte pubblica, da intendersi nel senso di non poter irrogare una pena superiore nel quantium finale a quella irrogata dal primo giudice.
Peraltro, rispettati tali obblighi, il giudice ha una plena cognitio per quanto riguarda la quantificazione della pena, non essendo vincolata dalla determinazioni assunte in proposito dal primo giudice.
Ne deriva che legittimamente il giudice di appello, nel rideterminare la pena complessiva in modo più favorevole all’imputato, applicando i limiti edittali previsti dalla disciplina anteriore a quella introdotta dalla legge Fini-Giovanardi, potrebbe di non applicarli nel “minimo”, come aveva invece fatto il giudice precedente chiamato ad applicare la disciplina poi dichiarata incostituzionale.
Tale principio, a ben vedere, la Corte lo trae dalla motivazione esauriente e puntuale della sentenza delle Sezioni unite 26 febbraio 2015, Jazouli, laddove si è chiarito che è compito del giudice, chiamato a “rimodulare” la pena, a seguito della declaratoria di incostituzionalità, quello di procedere ab imis ad una “nuova” commisurazione della pena che assuma come parametro edittale quello stabilito dalla disciplina oggetto della reviviscenza determinata dalla declaratoria di illegittimità costituzionale.
Il giudice dell’esecuzione
Va soggiunto che analoghi principi valgono anche per il giudice dell’esecuzione.
Nel senso che il giudice dell'esecuzione, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, deve procedere alla rideterminazione della pena in favore del condannato per un illecito relativo a una droga “leggera” a norma degli articoli 132 e 133 c.p., attenendosi al rispetto sia dei limiti edittali previsti dalla originaria formulazione dell'articolo 73, comma 4, del dpr n. 309 del 1990, in relazione alla tipologia di condotta e di sostanza stupefacente oggetto di contestazione, sia delle valutazioni già effettuate in sentenza dal giudice della cognizione con riferimento alla sussistenza del fatto e al significato allo stesso attribuibile.
Sarebbe invece sbagliato se il giudice dell’esecuzione si limitasse ad una operazione di riduzione meramente automatica o aritmetico proporzionale, per riportare la pena nei limiti edittali prevista dalla normativa anteriore alla legge Fini-Giovanardi, dovendo invece fare necessariamente uso dei propri poteri discrezionali ed adeguare in tal modo la pena, con congrua motivazione, al disvalore penale del fatto, come accertato dal giudice della cognizione (cfr., di recente, Cassazione, Sezione I, 18 novembre 2014, De Simone; nonché, Sezione III, 19 maggio 2015, T.).
fonte: www.quotidianogiuridico.it//Nessun automatismo nella rideterminazione della pena per le droghe leggere - Il Quotidiano Giuridico
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lunedì 14 settembre 2015
Nessun automatismo nella rideterminazione della pena per le droghe leggere
Lo Studio Legale Mancino si occupa di tutte le fasi dell'assistenza legale in sede penale, sia per la difesa delle persone sottoposte a procedimento, sia per la tutela delle vittime di reato come parti civili. Lo Studio opera anche in tutti gli ambiti del diritto civile, dalla contrattualistica, al diritto di famiglia, separazioni e divorzi, successioni, diritti reali, assicurazioni e responsabilità civile, diritto bancario, nonché nel settore del diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali. L'Avv. Emiliano Mancino è abilitato alla difesa di fronte alla Corte di Cassazione. E' iscritto alle liste per il patrocinio a spese dello Stato. Lo Studio è a disposizione dei Colleghi che hanno necessità di collaborazione e/o di domiciliazione per tutti gli uffici giudiziari compresi nelle circoscrizioni dei Tribunali di Ferrara e Bologna.
Dal 2018 l’Avv. Emiliano Mancino aderisce al progetto Difesa Legittima Sicura, una rete di professionisti sul territorio nazionale che dà tutela legale a chiunque sia vittima di violenza.
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