Diminutivo all’apparenza simpatico: ‘tenentino’. Ma ogni parola può rivelarsi a doppio senso, soprattutto alla luce del contesto... Difatti, proprio l’utilizzo di quel termine costa carissimo a un tenente colonnello della Guardia di Finanza, ritenuto colpevole di avere offeso un colonnello, suo commilitone, apostrofandolo come ‘tenentino’, con «tono di disprezzo e di dileggio» (Cassazione, sentenza 21509/15). Ciò conduce a condividere non solo la «condanna» nei confronti del tenente colonnello, ma anche la «pena», fissata in «quattro mesi di reclusione militare».
Inequivocabile, per i giudici, la condotta tenuta dal militare della Guardia di Finanza, il quale ha appellato, «con tono di disprezzo e dileggio», come «‘tenentino’» il commilitone – un «tenente», per l’appunto – che aveva ricevuto il compito di notificargli «l’atto amministrativo di revoca della concessione dell’alloggio di servizio che aveva in uso». Evidenti, sempre secondo i giudici, la ‘lesione’ per il «prestigio» e la «dignità» del tenente, destinatario del diminutivo. Incontestabile, quindi, il reato di «ingiuria».
Secondo l’uomo sotto accusa, però, è stato trascurato un particolare non secondario, cioè la condotta tenuta dal tenente. Quest’ultimo, in particolare, si evidenzia nella linea difensiva proposta in Cassazione, non ha «proceduto» regolarmente «alla notifica nei confronti del suo ‘superiore’», bensì ha assunto un atteggiamento «aggressivo e irriguardoso». Più precisamente, il tenente, «a fronte del cortese ripetuto diniego» opposto dal tenente colonnello a «ricevere la notifica del provvedimento amministrativo», non si è limitato «a procedere nei termini previsti dalle norme di procedura civile, redigendo la relazione di notifica attestante l’avvenuto diniego a seguito della quale la notifica del provvedimento raggiunge in ogni caso la finalità di legge» ma ha «impedito addirittura al colonnello di uscire dalla caserma e lo ha inseguito all’interno del corpo di guardia, reiterando la notifica del verbale del provvedimento in maniera ossessiva, ed assumendo, nei confronti del destinatario, una condotta incomprensibilmente aggressiva e del tutto ingiustificata».
Alla luce di questo contesto, il colonnello sostiene che l’utilizzo del termine ‘tenentino’ non è valutabile come «ingiuria», perché esso era finalizzato a riaffermare «la propria dignità ed autorità» a fronte della «condotta illegittima» del tenente che «notificava l’atto». Tale visione, però, non riesce a convincere i giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, invece, ritengono corretta l’ottica adottata in Appello, soprattutto tenendo conto della «ricostruzione» dell’episodio.
In particolare, il colonnello ha «tentato ripetutamente di sottrarsi alla notifica dell’atto amministrativo, a fini del tutto personali, creando imbarazzo ed oggettive difficoltà nell’attività dell’amministrazione militare», ad esempio «rifiutando di ricevere la notifica fatta al domicilio». Poi, una volta raggiunto mentre era «a bordo della sua autovettura», ha apostrofato in malo modo il tenente che «lo aveva invitato a fermarsi per consentirgli di precedere alla notifica», urlandogli: “Un tenentino vuol dire al colonnello cosa deve fare”. Non contestabile, quindi, la «valenza dispregiativa della frase pronunciata» nei confronti del tenente, e tale da lederne «il decoro e l’onore». Confermata, di conseguenza, la «condanna» per il reato di «ingiuria».
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Diminutivo fatale in ambito militare: è offensivo dare del "tenentino" - La Stampa
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lunedì 25 maggio 2015
Diminutivo fatale in ambito militare: è offensivo dare del "tenentino"
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