La nozione di inabilità, rilevante per il riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità, va intesa come assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa di infermità o difetto fisico o mentale, il cui accertamento rende superflua la verifica di una residua possibilità d’impiego compatibile con la condizione dell’interessato. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza 9500/15.
Il caso
La Corte d’appello di Firenze accoglie il ricorso dell’INPS contro la sentenza del Tribunale di Lucca che aveva a sua volta accolto la domanda di una donna diretta all’accertamento del diritto a percepire la pensione di reversibilità della propria madre, in quanto figlia maggiorenne ed inabile al lavoro. La ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia utilizzato un concetto di «totale inabilità» diverso da quello normativamente richiesto ai fini del diritto alla pensione di reversibilità, rilevando non la totale inabilità, ma la concreta impossibilità di dedicarsi ad un’attività lavorativa che consenta di soddisfare le esigenze primarie di vita.
La Cassazione prende le mosse dalla legge 222/1984, la quale ha introdotto una nozione d'inabilità ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità, di reversibilità e ad altre prestazioni assistenziali, oltre che ai fini del diritto agli assegni familiari: «si considerano inabili le persone che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa», requisito più stringente rispetto a quanto previsto dalla disciplina previgente che considerava inabili le persone che si trovassero nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere «un proficuo lavoro», condizione rilevante in termini concreti, anche in considerazione alle condizioni del mercato del lavoro, e diretta ad accertare il possesso di una generica capacità lavorativa.
Ciò che assume rilevanza è l’assoluta e permanente incapacità di svolgere una qualsiasi attività lavorativa, nel senso che «questa deve essere determinata esclusivamente dalla infermità ovvero dal difetto fisico o mentale», senza che debba verificarsi un’eventuale possibilità di impiego delle residue energie lavorative in un’attività compatibile con tali condizioni soggettive. Nel caso, la negazione del diritto alla reversibilità della pensione della madre della ricorrente si fonda sul mancato accertamento di una situazione di assoluta incapacità lavorativa, come risulta dalla CTU disposta dal giudice d’appello anche in riferimento alla condizione psichiatrica della ricorrente, la quale risultava in una condizione di apatia e depressione che, tuttavia, non era mai sfociata in un ricovero psichiatrico né in un trattamento di psicoterapia. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Apatia e depressione non sono sufficienti ad ottenere la pensione di reversibilità - La Stampa
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martedì 26 maggio 2015
Apatia e depressione non sono sufficienti ad ottenere la pensione di reversibilità
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