Un lavoratore dipendente soffre di gravi disturbi psichici. La situazione rende meno grave la condotta da lui adottata nei confronti dell’azienda, ossia la mancata giustificazione per la prolungata assenza dal lavoro. E ciò, di conseguenza, rende illegittimo il licenziamento. Vittoria piena, quindi, per il lavoratore, che ottiene la reintegra e un corposo risarcimento (Cassazione, sentenza 4171/15).
Nodo della vicenda è la scelta dell’azienda di espellere il dipendente «per giustificato motivo, con lettera, preceduta da contestazione disciplinare» con cui «gli si addebitava la mancata ripresa del lavoro senza giustificazione». Per i giudici di merito, però, il provvedimento aziendale è assolutamente inappropriato. Per una ragione semplicissima: «la consulenza tecnica aveva consentito di accertare che, all’epoca dei fatti, soffriva di gravi disturbi che avevano determinato un’apprezzabile limitazione delle sue facoltà mentali e di cui l’azienda era a conoscenza», «tale limitazione», spiegano i giudici tra primo e secondo grado, «aveva impedito» al lavoratore «di valutare seriamente i propri atti, e, quindi, in concreto di giustificare» la propria «assenza». Di conseguenza, per i giudici è lapalissiana l'«illegittimità del licenziamento», con conseguente reintegra del dipendente «nel suo posto di lavoro», dipendente che dovrà ricevere anche un adeguato «risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni globali di fatto non percepite dalla data dell’illegittimo licenziamento fino all’effettiva reintegrazione».
Nonostante le rimostranze in Cassazione da parte dell’azienda, viene confermata la vittoria del lavoratore. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è acclarato che «all’epoca della contestazione disciplinare, e ancor prima, all’epoca dell’assenza dal servizio, il lavoratore soffriva di una grave forma di depressione che incideva, limitandola, sulle sue capacità mentali, e, in maniera significativa, sul suo comportamento»: ciò significa, spiegano i giudici, che «la condotta inadempiente» addebitata al lavoratore «era giustificata da tale stato di incapacità naturale», con la conseguenza che «il licenziamento doveva ritenersi illegittimo». E tale valutazione, sia chiaro, «è stata formulata sulla base» di una «consulenza tecnica d’ufficio» e di «certificazioni mediche», da cui, ricordano i giudici, «risultano la diagnosi di disturbo ansioso-depressivo persistente, di grave entità (pure in trattamento farmacologico), etilismo cronico, epatopatia cronica, ipertensione arteriosa», senza dimenticare, poi, alcune «visite» dell’uomo «presso il Centro di salute mentale» e alcuni «ricoveri ospedalieri».
Evidente lo stato di «incapacità naturale» del lavoratore, condizione di cui l’azienda era sicuramente «a conoscenza», come testimoniato anche dalla «raccomandata» con cui l’uomo «giustificava l’assenza con la sindrome ansioso-depressiva». Alla luce di questo quadro, colpisce la «eccessiva brevità dei tempi» assegnati dall’azienda al lavoratore «per presentarsi a fornire le sue giustificazioni»: per la cronaca, «telegramma delle ore 18.19 del 5 settembre; convocazione per il successivo 6 settembre; quindi, licenziamento del 7 settembre».
Piuttosto, spiegano i giudici, «sarebbe stato doveroso, per la società, prestare maggiore attenzione prima di intimare il licenziamento», magari con una «sottoposizione del lavoratore ad una visita medica: allo scopo non già di accertare l’esistenza di eventuali cause giustificative dell’assenza, bensì di meglio valutare l’incidenza della condotta del lavoratore sul vincolo contrattuale, a fini dell’esercizio del diritto di recesso». Acclarato, quindi, lo «stato di incapacità naturale del lavoratore, che gli ha impedito una seria valutazione dei suoi atti» e, quindi, «di giustificare la sua assenza dal servizio», è evidente la illegittimità del licenziamento deciso dall’azienda.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Assente ingiustificato in azienda, ma la sindrome ansioso-depressiva lo salva dal licenziamento
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sabato 21 marzo 2015
Assente ingiustificato in azienda, ma la sindrome ansioso-depressiva lo salva dal licenziamento
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