La «detenzione domiciliare speciale» è una particolare beneficio previsto per le madri condannate con prole sotto i 10 anni, mirante a tutelare l'interesse «prioritario» dei minori in un periodo cruciale della formazione, per cui assoggettarne la concessione al requisito della «collaborazione» con la giustizia, come previsto per le misure alternative al carcere nel caso di commissione di taluni gravi delitti (mafia, terrorismo, sequestro ecc.), è illegittimo.
Il regime di particolare «di rigore» sancito dall'articolo 4-bis, comma 1, della legge 354/1975, aggiunto nella stagione «emergenziale» del terrorismo dei primi anni '90, e mirante ad incentivare la collaborazione, quale strategia di contrasto alla criminalità organizzata, infatti, non può riverberare la sua portata su situazioni del tutto diverse, dove l'interesse tutelato è un altro. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza 239/2014 , dichiarandone l'illegittimità costituzionale nella parte in cui «non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari, da esso stabilito, la misura della detenzione domiciliare speciale prevista dall'art. 47-quinquies della medesima legge».
La vicenda - La questione è partita da un'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Firenze investito dell'istanza di concessione della detenzione domiciliare speciale ad una madre di origine nigeriana, condannata a nove anni e sei mesi di reclusione, fra l'altro, per «riduzione o mantenimento in schiavitù», delitto compreso tra quelli che vietano la concessione dei benefici penitenziari in assenza di collaborazione con la giustizia.
Il ragionamento - La Consulta ha accolto la doglianza chiarendo che «il legislatore ha accomunato fattispecie tra loro profondamente diversificate». Spiega, infatti, la sentenza: «tale omologazione di trattamento appare senz'altro lesiva dei parametri costituzionali evocati ove si guardi alla ratio storica primaria del regime in questione, rappresentata dalla incentivazione alla collaborazione, quale strategia di contrasto della criminalità organizzata». «Un conto, infatti, - prosegue la sentenza - è che tale strategia venga perseguita tramite l'introduzione di uno sbarramento alla fruizione di benefici penitenziari costruiti – com'è di norma – unicamente in chiave di progresso trattamentale del condannato, sbarramento rimuovibile tramite la condotta collaborativa». «Altro conto è che la preclusione investa una misura finalizzata in modo preminente alla tutela dell'interesse di un soggetto distinto e, al tempo stesso, di particolarissimo rilievo, quale quello del minore in tenera età a fruire delle condizioni per un migliore e più equilibrato sviluppo fisio-psichico».
Così facendo, infatti, osserva amaramente la Corte, il «"costo" della strategia di lotta al crimine organizzato viene traslato su un soggetto terzo, estraneo tanto alle attività delittuose che hanno dato luogo alla condanna, quanto alla scelta del condannato di non collaborare».
Del resto, la subordinazione dell'accesso alle misure alternative al «ravvedimento» del condannato – «la condotta collaborativa, in quanto espressiva della rottura del "nesso" tra il soggetto e la criminalità organizzata» – può risultare «giustificabile» quando si discuta di misure che hanno di mira, in via esclusiva, la risocializzazione dell'autore della condotta illecita; cessa di esserlo, invece, quando al centro della tutela si collochi un interesse "esterno" ed eterogeneo, come quello della prole.
Il bilanciamento di interessi - Non solo, affinché l'interesse del minore possa restare «recessivo» di fronte alle esigenze di «protezione della società dal crimine» occorre che il pericolo (l'eventuale commissione di ulteriori reati) venga verificato in concreto – così come richiesto dalla norma sulla detenzione speciale - e non già collegato ad indici presuntivi – come invece previsto dalla norma censurata – precludendo al giudice «ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni».
Infine, osserva la Corte, la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa, «in via consequenziale», anche alla misura della detenzione domiciliare ordinaria prevista dall'art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 354/1975 (delitti con pensa non superiore a 4 anni): «ciò, per evitare che una misura avente finalità identiche alla detenzione domiciliare speciale, ma riservata a soggetti che debbono espiare pene meno elevate, resti irragionevolmente soggetta ad un trattamento deteriore in parte qua».
fonte: www.ilsole24ore.com//Domiciliari anche per le madri detenute per mafia e terrorismo con figli sotto i dieci anni
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venerdì 24 ottobre 2014
Domiciliari anche per le madri detenute per mafia e terrorismo con figli sotto i dieci anni
Lo Studio Legale Mancino si occupa di tutte le fasi dell'assistenza legale in sede penale, sia per la difesa delle persone sottoposte a procedimento, sia per la tutela delle vittime di reato come parti civili. Lo Studio opera anche in tutti gli ambiti del diritto civile, dalla contrattualistica, al diritto di famiglia, separazioni e divorzi, successioni, diritti reali, assicurazioni e responsabilità civile, diritto bancario, nonché nel settore del diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali. L'Avv. Emiliano Mancino è abilitato alla difesa di fronte alla Corte di Cassazione. E' iscritto alle liste per il patrocinio a spese dello Stato. Lo Studio è a disposizione dei Colleghi che hanno necessità di collaborazione e/o di domiciliazione per tutti gli uffici giudiziari compresi nelle circoscrizioni dei Tribunali di Ferrara e Bologna.
Dal 2018 l’Avv. Emiliano Mancino aderisce al progetto Difesa Legittima Sicura, una rete di professionisti sul territorio nazionale che dà tutela legale a chiunque sia vittima di violenza.
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