Non può essere accusato di favoreggiamento alla prostituzione chi concede, dietro pagamento della metà del canone e delle spese, un immobile in sublocazione ad una prostituta, con cui convive. Ciò vale anche nel caso in cui la donna lavori poi nel medesimo immobile, perché la mera stipulazione del contratto non basta a concretizzare, di per sé, un oggettivo aiuto all’esercizio della prostituzione in quanto tale. Lo sostiene la Cassazione nella sentenza 7338/14.
Il caso
La Corte d’appello di Firenze ha assolto, riformando la sentenza di primo grado, l’imputato, accusato di favoreggiamento della prostituzione secondo la l. n. 75/1958 (c.d. legge Merlin), per aver subaffittato un appartamento ad una prostituta in cambio di un corrispettivo di 400 euro al mese più la metà delle spese. Il Procuratore della Repubblica propone ricorso con un unico motivo, in cui deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge, non capendo il motivo per cui la Corte territoriale abbia ritenuto che la donna avesse una disponibilità autonoma e paritaria dell’appartamento solo a causa del legame sentimentale dell’imputato, con cui conviveva. Ritiene, inoltre, che i giudici abbiano erroneamente escluso l’elemento soggettivo del reato: infatti, consentire alla convivente di esercitare nell’appartamento basterebbe ad integrare il dolo generico richiesto per tale delitto. La Cassazione ricorda che i giudici di merito hanno escluso la sussistenza del reato basandosi su alcuni dati fattuali come il rapporto sentimentale e di convivenza tra i due e l’accordo di dividersi in parti uguali le spese del canone e delle utenze. Ciò conduce ad ipotizzare una disponibilità paritaria ed autonoma da parte di entrambi, escludendo, di conseguenza, la sussistenza del reato. Secondo il Pubblico Ministero ricorrente, il quale non ha contestato gli elementi appena ricordati, l’imputato aveva la possibilità di imporre alla donna di non prostituirsi nell’appartamento in cui vivevano, ma, non avendolo fatto, si è reso complice. Il ragionamento è però errato. Il reato di favoreggiamento è perfezionato da ogni forma di agevolazione ed attività idonea, anche in mancanza di contatto diretto tra agente e cliente, a procurare condizioni più facili per il lavoro, posta in essere con la consapevolezza di tale facilitazione. Senza rilevanza sono il fine o il movente di questo comportamento. E’ quindi sufficiente ad integrare il reato qualsiasi condotta che si risolvi in una concreta agevolazione dello svolgimento dell’attività, mentre è irrilevante l’aiuto prestato solo alla prostituta, che riguardi cioè lei e non la sua attività, anche se quest’ultima ne venga poi indirettamente agevolata. Tutti hanno diritto ad un tetto sopra la testa. Se lo scopo specifico della locazione non è quello di esercitare la prostituzione nell’immobile, la condotta del locatore non si concreta in un aiuto all’attività svolta dalla locataria, in quanto il contratto riguarda la persona ed il suo diritto all’abitazione. Sebbene, quindi, ciò comporterà probabilmente un’agevolazione indiretta della prostituzione, questo non implica un nesso causale penalmente rilevante tra la condotta dell’agente e l’evento di favoreggiamento. Si tratta infatti di una condotta, in assenza della quale la prostituzione sarebbe stata comunque esercitata in condizioni sostanzialmente equivalenti. Di conseguenza, l’ipotesi di sublocazione di un immobile, in cui lei esercita anche la prostituzione, utilizzato però prima di tutto come abitazione da parte di entrambi, legati da un rapporto sentimentale, oltre alla ricezione da parte dell’imputato di una quota del canone e di metà delle spese, non concreta, di per sé, un oggettivo aiuto all’esercizio della prostituzione in quanto tale. Il ricorso viene, quindi, rigettato.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Subaffittare un appartamento ad una prostituta non implica necessariamente favoreggiamento
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venerdì 2 maggio 2014
Subaffittare un appartamento ad una prostituta non implica necessariamente favoreggiamento
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