sabato 31 maggio 2014

Negoziazione fuori dai locali commerciali: definizione e ambito di applicazione

Nelle transazioni che si svolgono al di fuori dei locali commerciali, la posizione del consumatore appare tradizionalmente “svantaggiata” rispetto a quella del professionista e, quindi, i relativi rapporti giuridici sbilanciati a favore di questi. Il venditore si presenta all’acquirente, o potenziale tale, in luoghi non deputati allo svolgimento di trattative commerciali, ad esempio presso l’abitazione del consumatore, in aree pubbliche o aperte al pubblico, e via dicendo.

Tali circostanze hanno indotto il legislatore a regolamentare la prassi della negoziazione che prende origine, e si sviluppa, al di fuori degli esercizi commerciali, attraverso interventi che hanno, per di più, posto l’accento sulla tutela dei diritti del cd. contraente debole.

Dalla metà degli anni ‘80 si delinea un interesse, da parte degli operatori giuridici (legislatore, dottrina, giurisprudenza), nei confronti di quelle transazioni che, aventi ad oggetto beni e servizi, si perfezionano in luoghi differenti a quelli “usuali” ove il professionista esercita la propria attività, cercandone le relative collocazioni giuridiche.

L’embrione della normativa a tutela del consumatore, per le operazioni commerciali poste in essere al di fuori dei relativi esercizi, è rappresentata dalla Direttiva n. 85/577/CE, varata dal Consiglio il 20 dicembre 1985, che introduce, a favore della parte contrattuale “debole”, il diritto di recedere dal contratto nel termine di 7 giorni. Il legislatore interno, con il Decreto legislativo 15 gennaio 1992, n. 50, recepisce la succitata Direttiva del 1985, per poi trasfonderla nel cd. “Codice del consumo” (Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206). Fin dai primi provvedimenti, si mira alla tutela del consumatore attraverso la previsione di particolari obblighi informativi in capo al professionista, al riconoscimento di un diritto di recesso unilaterale a favore del consumatore e, infine, nell’ipotesi ove insorga una controversia in tale materia, nell’individuazione di un foro “inderogabile”. La disciplina in esame si è progressivamente evoluta fino alla recente emanazione del D. Lgs. n. 21 del 21.02.2014 (che attua la Direttiva UE 2011/83/CE), la cui entrata in vigore è stata fissata al 13 giugno 2014.

Fin dagli albori della regolamentazione dei contratti conclusi al di fuori dei locali commerciali, si era posta una rilevante problematica di carattere preliminare, ovvero quella concernente i rapporti tra le discipline, di rango comunitario ed interno, e degli effetti della normativa comunitaria nella sfera delle relazioni commerciali tra professionista e consumatore. A chiarire ogni dubbio è intervenuta la nostra Suprema Corte di Cassazione, che con plurime pronunce, sulla scia delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia, ha sentenziato l’operatività delle norme comunitarie unicamente nei confronti dello Stato, consentendo tuttavia qualche “apertura”  ai cd. “principi regolatori della materia”:

Corte di Giustizia delle Comunità europee Sentenza 14.07.1994, n. 91/C

In assenza del provvedimento di attuazione della direttiva 85/577, entro i termini prescritti, il consumatore non è legittimato a fondare, sulla direttiva medesima, un diritto di recesso nei confronti del commerciante col quale ha stipulato un contratto. Ugualmente, non può far valere tale diritto innanzi al giudice nazionale. Nondimeno quest’ultimo, nel momento in cui si trova ad applicare le disposizioni di diritto interno, sia precedenti che successive alla direttiva comunitaria, deve interpretarle alla luce sia della lettera che dello scopo della direttiva medesima.

Corte di Cassazione Sezione 1 civile, Sentenza 15.05.1995, n. 5289

Prima dell’entrata in vigore della disciplina di attuazione, posta in essere dal legislatore interno mediante il Decreto legislativo n. 50 del 1992, la direttiva del Consiglio dei Ministri delle Comunità Europee 20 dicembre 1985 n. 577, in tema di vendite fuori dai locali commerciali, pur contenente norme incondizionate e sufficientemente precise sulla determinazione dei beneficiari e del termine entro il quale va esercitato il diritto di recesso, opera unicamente nei rapporti fra i singoli e lo Stato membro cui la direttiva è rivolta, di conseguenza i consumatori non possono fondare, sulla direttiva stessa, un diritto di recesso nei confronti dei commercianti, in contrasto con le clausole contrattuali.

Corte di Cassazione Sezione 2 civile, Sentenza 30.07.2001, n. 10429

La disciplina comunitaria (in particolare la direttiva del Consiglio CEE 20 dicembre 1985, n. 577) in materia di vendite poste in essere al di fuori dei locali commerciali, pur contenendo norme sufficientemente precise circa la determinazione dei beneficiari ed il termine entro cui si può esercitare il diritto di recesso, non può considerarsi operante nei rapporti tra i privati, bensì soltanto in quelli tra i singoli e lo Stato membro, al quale la direttiva è indirizzata. Pertanto tale disciplina comunitaria, prima dell’emanazione del provvedimento interno di attuazione (nella fattispecie il D.Lgs. n. 50 del 1992), deve considerarsi collocata tra le fonti del diritto rilevanti nell’ordinamento italiano fin dal momento in cui scade il termine per l’attuazione, senza che avvenga il formale recepimento. Da ciò discende che di essa, pur non essendo ancora idonea a disciplinare, in via immediata, i rapporti tra i privati, deve tenersi conto nella configurazione dei principi regolatori della materia della tutela del consumatore nella conclusione dei contratti di vendita mobiliare con un operatore commerciale, stipulati presso il domicilio del primo.

In merito all’ambito di applicazione della disciplina, si è più volte presentata l’esigenza di definire lo spazio giuridico abbracciato dalla nuova tematica. In particolare, l’art. 45 del Codice del Consumo, riformulato e rirubricato dall’art. 1 del citato D.Lgs. 21.02.2014, n. 21, alla lettera i) definisce, in positivo, “locali commerciali”, come “qualsiasi locale immobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la sua attività su base permanente” oppure “qualsiasi locale mobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la propria attività a carattere abituale”. Il medesimo articolo, alla lettera h) reca la definizione di “contratto negoziato fuori dei locali commerciali”, precisando che parti necessarie siano da un lato il “professionista”, dall’altro il “consumatore”, nonché i caratteri della negoziazione:

1) concluso alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, in un luogo diverso dai locali del professionista;

2) per cui è stata fatta un’offerta da parte del consumatore, nelle stesse circostanze di cui al numero 1;

3) concluso nei locali del professionista o mediante qualsiasi mezzo di comunicazione a distanza immediatamente dopo che il consumatore è stato avvicinato personalmente e singolarmente in un luogo diverso dai locali del professionista, alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore; oppure;

4) concluso durante un viaggio promozionale organizzato dal professionista e avente lo scopo o l’effetto di promuovere e vendere beni o servizi al consumatore;

La definizione contenuta alla lettera g), concernente il “contratto a distanza”, nel circoscrivere la disciplina a “qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore”, delimita le modalità e le circostanze temporali all’ “uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto” chiarendo in tale tipologia contrattuale sia “compresa” la fase relativa alla “conclusione del contratto stesso”.

Corte di Giustizia delle Comunità europee Sezione 1 Sentenza del 15 aprile 2010, n. 215/08

La direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/577/CEE, in tema di tutela dei consumatori per le ipotesi di contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali, trova il proprio ambito di applicazione anche relativamente alla fattispecie di un contratto avente ad oggetto l’adesione di un soggetto consumatore ad un fondo immobiliare chiuso, costituito nella forma della società di persone, quando lo scopo principale dell’adesione non sia quello di divenire membro della società, bensì si tratti precipuamente di un modalità per investire capitali.

Corte di Giustizia delle Comunità europee Sentenza del 25 ottobre 2005, n. 350/03

L’art. 3, n. 2, lett. a), della direttiva del Consiglio 85/877/CEE del 20/12/1985, per la tutela dei consumatori in ipotesi di contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali, non trova applicazione ai contratti di compravendita immobiliari, benché siano parte integrante di un investimento finanziario il cui finanziamento sia garantito mediante mutuo e le cui trattative precontrattuali, tanto in relazione al contratto di vendita dell’immobile, quanto al contratto di mutuo diretto al finanziamento, vengano svolte nel contesto di un’operazione di “vendita a domicilio”.

Corte di Giustizia delle Comunità europee Sezione 2 Sentenza del 25 ottobre 2005, n. 229/04

Gli artt. 1 e 2 della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/577/CEE, avente ad oggetto la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, devono essere interpretati nel senso che, qualora un terzo intervenga in nome o per conto di un professionista in fase di negoziazione, ovvero di stipula di un contratto, l’applicazione della direttiva non può essere subordinata alla condizione che il professionista fosse, ovvero avrebbe dovuto essere, a conoscenza della circostanza che il contratto era stato stipulato in un contesto di “vendita a domicilio”, rientrante in quanto tale nell’ambito di operatività dell’art. 1 della detta direttiva.

Corte di Giustizia delle Comunità europee Sentenza del 17 marzo 1998, n. 45/96

L’art. 2 della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/577/CEE, che tutela i consumatori nelle ipotesi di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, va interpretato nel senso che un contratto di fideiussione stipulato da un soggetto “persona fisica”, che non agisca nell’ambito di un’attività professionale, è escluso dalla sfera di applicazione della direttiva quando esso garantisca il rimborso di un debito contratto da una terza persona che agisce nell’ambito della propria attività professionale.

Tribunale Palermo, Sezione 3 civile, Sentenza 10 gennaio 2013, n. 101

La disciplina prevista dal Codice del consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005) si applica unicamente ai rapporti tra professionista e consumatore: in tal senso va precisato come anche la persona fisica, la quale svolga attività imprenditoriale ovvero professionale, potrà essere considerata alla stregua del “consumatore” e, pertanto, beneficiare della relativa tutela, qualora concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della propria vita quotidiana, che si pongano come estranee all'esercizio di dette attività. Per contro, deve considerarsi “professionista”, tanto la persona fisica quanto quella giuridica, sia privata che pubblica, che adoperi il contratto nell'ambito della sua attività imprenditoriale o professionale. Affinché ricorra la figura del professionista non occorre che il contratto sia posto in essere nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, essendo sufficiente che esso sia stipulato per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale, ovvero professionale. Da ciò discende che i professionisti, nonché gli imprenditori, proprio per le cognizioni che detengono in virtù dell'attività abitualmente espletata e che consentono loro di contrattare su un piano di parità, non possono beneficiare della tutela in questione. Ciò detto, nella fattispecie, in cui la parte attrice ha dedotto di aver subito un pregiudizio economico derivante dall'acquisto di un sistema di allarme presso la società convenuta, ritenendolo non conforme all'uso cui era destinato, sì da inquadrare la fattispecie nell'alveo della generale tutela predisposta a favore del consumatore, si è rilevata impraticabile detta tutela, essendo parte attrice una “persona giuridica”. Ciò ha trovato conferma in una circostanza probatoria: le fatture relative all'acquisto del sistema di video sorveglianza, e la documentazione fiscale ai fini IVA, erano intestate alla società attrice.

Per completezza si precisa che la previgente formulazione dell’art. 45 del Codice del Consumo, al secondo comma, dilatava l’ambito di applicazione della disciplina alle proposte contrattuali “sia vincolanti che non vincolanti” formulate dal soggetto consumatore e “per le quali non sia ancora intervenuta l’accettazione” da parte del professionista. La previsione andava ad estendere la tutela alla pratica commerciale delle transazioni “salvo approvazione della casa”, ed in particolare quando il professionista si avvale di un soggetto “intermediario” che fa sottoscrivere all’acquirente un “ordine” ovvero una “nota d’ordine”. Tale nota, su moduli predisposti dal professionista, assume la forma di una proposta contrattuale, salvo, “approvazione della casa”. Il legislatore aveva quindi esteso la disciplina di protezione anche a detta prassi, quando questa si era svolta in circostanze analoghe a quelle della stipulazione fuori dai locali commerciali.

fonte: Altalex.it//Negoziazione fuori dai locali commerciali: definizione e ambito di applicazione

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