In materia di falsa testimonianza, non è punibile chi non afferma il vero, se la sua condotta è determinata da una paura concreta di ritorsioni. E’ quanto affermato dalla Cassazione, nella sentenza 9727/14.
Il caso
La Corte d’appello di Bari riformava in parte la sentenza di primo grado di condanna nei confronti di un imputato, accusato di favoreggiamento per falsa testimonianza, concedendo le attenuanti generiche e rideterminando la pena inflitta, che veniva sospesa condizionalmente. L’imputato ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di non aver valutato adeguatamente la forte percezione di timore da parte dell’imputato stesso, causato dal pericolo di ritorsioni e per effetto di pressioni subite anteriormente alla condotta favoreggiatrice. Ciò comporterebbe una situazione obiettivamente esimente, in base all’art. 384 c.p., disciplinante le cause di non punibilità. Analizzando il ricorso, la Cassazione iniziava dal fatto che l’esimente della necessità di salvare se stesso o un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento alle libertà o all’onore possa essere proposta ed applicata anche in assenza di uno specifico gravame. Un pericolo concreto. In tema di falsa testimonianza, per applicare tale esimente, prevista dall’art. 384 c.p., rileva non solo il pericolo di un nocumento alla libertà o all’onore dell’autore del reato o di un suo congiunto, ma anche quello di un nocumento all’incolumità fisica. E’ necessario che il pericolo non sia genericamente temuto, ma sia collegato a circostanze obiettive e concrete. Infatti, questa causa di non punibilità implica un rapporto di derivazione immediato ed inderogabile tra il fatto commesso e l’esigenza di tutela, non rilevando una semplice supposizione. Nel caso di specie, i giudici di merito ritenevano la condotta dell’imputato il risultato di verosimili pressioni di soggetti della criminalità organizzata e rimarcavano la pericolosità del contesto (un altro testimone era stato vittima di pestaggio), senza dimenticare l’evidente paura manifestata dal ricorrente al momento della sua dichiarazione. La conseguenza di tale accertamento doveva essere l’applicazione dell’esimente ex art. 384 c.p., in ragione di un fondato, attuale e concreto timore dell’imputato di pericolo per la sua incolumità personale. Per questi motivi, la Corte annullava la sentenza, senza rinvio, in quanto il fatto non costituiva reato.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Il testimone bugiardo non è condannabile se mente per paura
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martedì 13 maggio 2014
Il testimone bugiardo non è condannabile se mente per paura
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