La qualità di p.u. o di incaricato di pubblico servizio assume rilevanza ai fini della procedibilità di ufficio dei reati sessuali solo nei casi in cui la posizione pubblicistica del colpevole abbia agevolato la commissione dell’abuso, rendendo la persona offesa maggiormente vulnerabile per il metus o per la soggezione psicologica derivante dalle funzioni esercitate (Cassazione, sentenza 3637/14).
Il caso
Veniva confermata in appello la sentenza con cui il tribunale di Taranto aveva dichiarato la colpevolezza di un vigile urbano per aver palpeggiato in seno un’addetta delle pulizie presso il Comando di Taranto. Corretta è la contestazione dell’aggravante del reato commesso da un p.u. nell’esercizio di pubbliche finzioni, giacché la condotta, agevolata dalla qualità rivestita, era stata posta in essere all’interno degli uffici nei confronti di una donna sottoposta a vigilanza da parte dell’imputato. Di conseguenza, il reato era procedibile d’ufficio e non a querela. Ricorre per cassazione il vigile. Il ricorrente contesta la sentenza, essendo erroneamente stata ritenuta la sussistenza dell’aggravante benché non si trovasse nell’esercizio delle sue funzioni avendo i testi riferito che egli, al momento dei fatti, non indossava la divisa prescritta obbligatoriamente per il servizio. La censura è infondata: la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio assume rilevanza ai fini della procedibilità di ufficio dei reati sessuali (art. 609-septies, co. 4, n. 3, c.p.) solo nei casi in cui la posizione pubblicistica del colpevole abbia agevolato la commissione dell'abuso, rendendo la persona offesa maggiormente vulnerabile per il metus o per la soggezione psicologica derivante dalle funzioni esercitate. È stato, in particolare, precisato che la procedibilità d'ufficio dei reati sessuali nel caso previsto dalla normativa codicistica è stata stabilita in ragione dell'autorità connessa alle funzioni esercitate ed all'influenza, al vincolo, alla dipendenza, se non al condizionamento ed al timore che ne può derivare; il che non presuppone che l'abuso abbia necessariamente luogo durante l'espletamento delle funzioni demandate al pubblico ufficiale sotto l'aspetto strettamente tecnico-specialistico, ma soltanto che sussista una connessione anche generica di detto abuso con l'attività esercitata nei confronti di soggetti che siano con l'agente in rapporti di dipendenza. Ciò premesso, nella fattispecie in esame, la Corte d'Appello ha accertato che il palpeggiamento avvenne, in orario lavorativo, negli uffici della Polizia Municipale dove entrambi prestavano la propria attività. Ha accertato, inoltre, la sottoposizione della donna a vigilanza e controllo da parte dell'imputato, desumendola dal fatto che quest'ultimo aveva redatto a suo carico una nota di servizio per la quale era stato poi sottoscritto un verbale di bonario componimento. Ha ritenuto, quindi, provato il compimento dell'atto nell'esercizio della pubblica funzione da parte dell’imputato, precisando che tale qualità deve porsi in relazione diretta con la condotta posta in essere e ciò si verifica anche quando, pur collocandosi il comportamento criminoso fuori dall'esercizio delle funzioni, tale qualità abbia agevolato in modo diretto la commissione del reato: ha, quindi, ritenuto la procedibilità di ufficio. Dunque, assolutamente irrilevante è il fatto che l’imputato indossasse o meno l’uniforme. Il ricorso, pertanto, non merita accoglimento.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Addetta alla pulizie palpeggiata da vigile urbano: infangata la divisa (anche se non indossata), reato procedibile d’ufficio
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venerdì 11 aprile 2014
Addetta alla pulizie palpeggiata da vigile urbano: infangata la divisa (anche se non indossata), reato procedibile d’ufficio
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