Secondo la Suprema corte, infatti, “sussiste un obbligo dell’Amministrazione di sorreggere con adeguata motivazione ogni atto con cui ‘accerti’ un quid di fiscalmente rilevante”.
Mentre, ovviamente - spiega la sentenza - non occorre alcuna motivazione ove l’Amministrazione operi su dati forniti dal contribuente o comunque già definiti fra le parti.
Dunque, nel caso di attribuzione di una rendita catastale per “stima diretta” l’ammontare della rendita stessa discende dal valore attribuito al bene. E “la mera indicazione di una diversa valutazione rispetto a quella proposta dal contribuente costituisce quindi il dispositivo dell’atto e non la motivazione”, che deve (a somiglianza di quanto accade in caso di applicazione dell’imposta di registro) invece enunciare i criteri e gli elementi che determinano la mancata accettazione delle indicazioni del contribuente.
Mentre nel caso specifico non erano indicati “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche” dell’avviso emesso dalla Amministrazione.
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