Qualche tempo fa, un imprenditore di Milano era stato scagionato in seguito a una maxi evasione di Iva, che, se regolarmente saldata, lo avrebbe obbligato a chiudere l’azienda. Questa volta, la sentenza pro contribuente è arrivata a Padova, dove un imprenditore di Monselice è stato chiamato in giudizio per il mancato versamento di circa 59mila euro di Irpef, Bper i quali la Procura aveva chiesto il pagamento con sanzione relativa e reclusione fino a sei mesi.
Denaro con cui, il titolare dell’attività, aveva preferito saldare gli arretrati con i fornitori, pagando gli stipendi ai dipendenti e versando le regolari quote di mutui o fidi bancari. Da qualche parte, insomma, l’imprenditore avrebbe dovuto lasciare un vuoto e ha optato per le casse pubbliche, rimaste a bocca asciutta.
Secondo il giudice che ha esaminato il caso, la condotta del contribuente non sarebbe punibile poiché non sussiste il dolo, cioè la volontà di arrecare danno alle finanze pubbliche, per tenere in piedi la propria azienda in un momento di difficoltà.
Come accaduto a Milano, del resto, all’imprenditore veneto non restavano molte alternative: pagare l’Irpef e fallire, chiudendo l’attività, oppure evadere il denaro dell’imposta e darlo a fornitori e dipendenti, in modo da continuare l’operatività della ditta. Ha scelto la seconda strada e il contenzioso con il fisco si è chiuso a suo favore, dopo che il giudicie ha constatato la mancata intenzione a mettersi in tasca il denaro non pagato allo Stato.
A impugnare il decreto di pagamento consegnato al contribuente imprenditore, era stato l’avvocato contrario al provvedimento ordinato dal Gip di pagamento di una multa di 2.280 euro. Comunque, l’imprenditore non può stare troppo tranquillo: il pagamento della mancata imposta dovrà avvenire a rate, con maggiorazione del 30% più gli interessi da corrispondere a Equitalia: in sostanza, il doppio di quanto non versato in origine.
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