lunedì 14 ottobre 2013

Latrati ripetuti dei cani di una coppia, protesta di un uomo. Che però deve provare il danno

Guerra tra vicini per i presunti fastidi provocati dai latrati di alcuni cani, di proprietà di una coppia. Nodo fondamentale è l’attestazione del fastidio, prima di arrivare a parlare di immissioni moleste e di risarcimento dei danni. La certificazione è a carico della persona che si ritiene lesa: assolutamente impensabile fondare il proprio carico probatorio sulla richiesta di una consulenza tecnica d’ufficio (Cassazione, sentenza 12990/13).

Il caso
Latrati fastidiosi: casus belli sovente oggetto di discussione nei condominii italiani. Protagonisti – inconsapevoli – alcuni cani, responsabili – almeno in teoria – i loro padroni. Ma per affrontare la questione in un’aula di giustizia sono necessarie prove concrete, e a portarle deve essere la persona lamentatasi per i disagi provocati dagli animali. Non ci si può certo affidare alla consulenza tecnica d’ufficio... A dare il ‘la’ alla vicenda è la lamentela di un uomo, che cita in giudizio una coppia di vicini a causa dei loro cani, chiedendo di «dichiarare l’illecito di immissioni» moleste, provocate «dal latrare dei cani». A corredo, peraltro, l’uomo punta anche alla condanna dei vicini «alla cessazione di detto illecito» e al «risarcimento dei danni» con un versamento di 2500 euro. Ma, per l’uomo, la partita si conclude con una sconfitta tout court, sancita prima dal Giudice di pace e poi dai giudici del Tribunale. Unica consolazione: la «compensazione delle spese di entrambi i gradi», confermata anche in Cassazione alla luce della «obiettiva controvertibilità in fatto della causa» e della «effettiva difficoltà di acquisizione della prova». Resta, però, aperto un ultimo fronte: l’uomo, difatti, contesta la decisione del Tribunale di non aver fatto ricorso a «una consulenza tecnica d’ufficio che avrebbe permesso di accertare, senza margine d’incertezza, l’esistenza dell’asserito fenomeno immissivo, e, dunque, la sua tollerabilità». Anche questa osservazione critica, però, viene ritenuta non fondata dai giudici della Cassazione, i quali chiariscono che toccava all’uomo «provare i fatti costitutivi del suo diritto», senza «pretendere di fornire la prova attraverso la consulenza tecnica». Detto in maniera ancora più netta, l’«onere probatorio» a carico della persona che si ritiene lesa non può essere «supplito con l’ammissione della consulenza tecnica», che ha «la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze», ma che non può essere utilizzata per colmare la «deficienza delle allegazioni o offerte di prova» da parte della persona lesa.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it //La Stampa - Latrati ripetuti dei cani di una coppia, protesta di un uomo. Che però deve provare il danno

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