mercoledì 25 settembre 2013

Rimborso di crediti d’imposta: recuperabili i costi delle garanzie del contribuente

Capita frequentemente che le imprese maturino posizioni creditorie consistenti nei confronti del Fisco.

La situazione è frequente, dato che il sistema impositivo prevede numerosi casi in cui il contribuente è tenuto ad effettuare versamenti d’imposta di natura temporanea soggetti a conguaglio periodico.

Il caso tipico è quello dell’IVA, che riguarda in particolar modo le imprese esportatrici: non applicandosi IVA sulle esportazioni, non hanno modo di recuperare le imposte versate ai propri fornitori attraverso la compensazione dell’IVA che normalmente graverebbe sulle vendite.

Si tratta dunque di posizioni creditorie fisiologiche, tanto che la legge tributaria (per l’IVA: l’art. 3-bis del DPR 633/1972) prevede che l’erario esegua il rimborso del credito d’imposta risultante dalla dichiarazione annuale entro soli tre mesi dalla sua presentazione.

L’erario eroga il rimborso dietro presentazione di una fidejussione bancaria o assicurativa di un importo superiore al credito stesso (deve comprendere anche gli ipotetici interessi) e di durata triennale a garanzia dell’eventuale restituzione che dovesse essere disposta nel caso si rivelasse indebito.

Oltre al problema di ottenere tali garanzie bancarie o assicurative (specie nell’attuale periodo di crisi, ed in particolare con le difficoltà spesso insormontabili che possiamo immaginarci quando il creditore è straniero e non ha rapporti con banche o assicurazioni italiane), l’impresa deve sostenere un costo non indifferente.

 L’impresa si trova così a sostenere un doppio onere: uno di natura tributaria che si aggiunge alle imposte normalmente dovute, ed uno finanziario perché si riduce la propria capacità di credito per finanziare la sua gestione operativa. Il tutto, a ben vedere, in una situazione che nella sostanza è esattamente rovesciata: è’ l’impresa che ha forzosamente finanziato lo stato, e che riscontra difficoltà ingiustificate nella riscossione del proprio credito.

Lo “Statuto del contribuente” (l. 212/2000) prevede espressamente che lo stato debba rimborsare il costo per il rilascio di fidejussioni richieste dall’amministrazione finanziaria finalizzate ad ottenere la sospensione di un pagamento, una rateazione od un rimborso, laddove venga definitivamente accertato  che il pagamento non era dovuto ovvero che il rimborso spettasse. La norma demanda al Ministero delle Finanze il compito di emanare un regolamento attuativo per la sua applicazione.

 I rimborsi di tali spese vengono negati dall’Agenzia delle Entrate ritenendo che tale disposizione abbia soltanto natura “programmatica”. Tale posizione si fonderebbe sulla circostanza che il MEF non ha ancora adottato – a distanza di 13 anni – il regolamento attuativo. Insomma: il debitore non rimborsa perché lui stesso non ha stabilito le modalità del rimborso…

 Di diverso avviso la Cassazione, la quale, con sent. 19751 del 28/8/2013, ha precisato che il diritto al rimborso del costo delle fidejussioni sorge direttamente sulla base della legge, mentre il regolamento attuativo si sarebbe dovuto occupare soltanto degli aspetti organizzativi ed esecutivi per l’erogazione dei rimborsi.

La sentenza appare condivisibile e coerente con i precedenti da essa stessa richiamati (sent. 14024/2009): il mancato riconoscimento del rimborso di tali oneri si risolverebbe, a parere di chi scrive, in una ulteriore tassazione a carico dei contribuenti che, non per “colpa loro”, si ritrovano in una posizione creditoria nei confronti dello stato, penalizzandoli ingiustamente rispetto ad altri.

Quanto alle modalità ed ai termini per chiedere il rimborso, proprio in mancanza del decreto attuativo, si applicano le regole generali. Vale a dire: formulare apposita istanza all’Ufficio competente presso il quale venne presentata la fidejussione (Equitalia? Agenzia delle Entrate?) entro gli ordinari termini di prescrizione civilistica (10 anni), decorrenti da quando il credito è divenuto esigibile (data della decadenza della azione accertatrice). Il che apre un orizzonte temporale piuttosto ampio: considerato che i termini di decadenza sono normalmente di 5 anni dalla data in cui si è originato il credito, il 31 dicembre 2013 scadrebbe il termine per ottenere il rimborso delle fidejussioni prestate a garanzia dei crediti sorti nell’anno 1998.

Tuttavia la prescrizione va verificata puntualmente in relazione alle circostanze del caso specifico (tipo di imposta, accertamenti divenuti definitivi in epoca definitiva o anteriore rispetto all’anno di decadenza ordinario per effetto di contenziosi, riapertura termini pregressi di decadenza per effetto di segnalazioni inoltrate all’autorità giudiziaria, etc).
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fonte: ilsole24ore/Rimborso di crediti d’imposta: recuperabili i costi delle garanzie del contribuente

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