giovedì 19 settembre 2013

L'Italia non può impedire agli stranieri di gestire le scommesse

Cgue - sentenza 12 settembre 2013 - Cause C-660/11 e C/812

L’italia non può escludere gli operatori stranieri nella raccolta è gestione delle scommesse. Lo precisato la Cgue con la sentenza C-660/11 depositata oggi. I giudici hanno precisato che “il diritto dell’Unione non osta a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione. Per contro, osta a che uno Stato membro che abbia escluso, in violazione del diritto dell’Unione, una categoria di operatori dall’attribuzione di concessioni per l’esercizio di un’attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo, in particolare, determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti”.

Risulta dall’obbligo di trasparenza, nonché dal principio di certezza del diritto che le condizioni e le modalità di una gara e le norme contemplanti la decadenza di concessioni devono essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale che impedisca di fatto qualsiasi attività transfrontaliera nel settore del gioco, in particolare, nei casi in cui avviene un contatto diretto fra il consumatore e l’operatore ed è possibile un controllo fisico, per finalità di pubblica sicurezza, degli intermediari dell’impresa presenti sul territorio.

La circostanza che un operatore disponga, nello Stato membro in cui è stabilito, di un’autorizzazione non osta a che un altro Stato membro, nel rispetto degli obblighi posti dal diritto dell’Unione, subordini al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalle proprie autorità la possibilità di offrire siffatti servizi.

Il caso - La legge italiana stabilisce che l’attività di raccolta e di gestione delle scommesse presuppone una concessione previa pubblica gara, nonché di un’autorizzazione di polizia. Qualsiasi violazione è passibile di sanzioni penali. Fino al 2002, le società di capitali quotate nei mercati regolamentati non potevano ottenere una concessione per i giochi d’azzardo e quindi sono rimaste escluse dalle gare del 1999. L’illegittimità di tale esclusione è stata dichiarata nella sentenza del 2007, Placanica e a. (C-338/04). Il decreto legge n. 223/2006, cosiddetto  «decreto Bersani» (misure di contrasto del gioco illegale) ha proceduto ad una riforma del settore del gioco in Italia, destinata ad adeguarlo alle norme dell’Unione.

I ricorrenti nei procedimenti principali gestiscono «centri trasmissione dati» («CTD») per conto della Goldbet Sportwetten GmbH, società di diritto austriaco, con sede a Innsbruck, con licenza di bookmaker rilasciata dal governo del Tirolo. L’organizzazione delle scommesse compete solamente a tale società. Infatti, dopo aver ricevuto la proposta di scommessa inoltrata dal CTD, la Goldbet può accettare o meno la scommessa, mentre al titolare del CTD spetta esclusivamente il compito di mettere in contatto lo scommettitore e il bookmaker straniero. Il servizio offerto sarebbe, dunque, solo quello di proporre agli scommettitori la connessione e la trasmissione dati, inoltrando al bookmaker la scommessa.

Le loro istanze di autorizzazione di polizia sono state respinte sulla base del fatto che la Goldbet non era titolare in Italia della concessione rilasciata dall’AAMS. Il signor Biasci e.a. hanno allora proposto ricorsi separati dinanzi al Tar Toscana, deducendo la violazione del principio del mutuo riconoscimento fra Stati membri a causa del rifiuto di concedere alle società, debitamente autorizzate in altri Stati membri, l’autorizzazione ad esercitare in Italia.

Lo Snai (Sindacato Nazionale Agenzie Ippiche SpA), la Stanley International Betting Ltd e la Stanleybet Malta ltd. sono intervenuti a sostegno del convenuto, il Ministero dell’Interno.

I procedimenti si inseriscono in un contesto giuridico e fattuale sostanzialmente identico a quello che ha dato origine alla sentenza del 16 febbraio 2012, Costa e Cifone (C-72/10 e C-77/10).

Le risposte dei giudici della Corte Ue - Il giudice del rinvio chiede alla Corte se il diritto UE ammetta una normativa nazionale che imponga alle società interessate l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione sempre rilasciata dallo Stato e che ne limiti il rilascio a coloro che già sono in possesso della concessione.
La giurisprudenza della Corte ha già giudicato che un sistema di concessioni può costituire un meccanismo efficace per prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se il sistema di concessioni italiano risponda realmente all’obiettivo.

Un’autorizzazione contribuisce chiaramente all’obiettivo di evitare che questi operatori siano implicati in attività criminali o fraudolente e sembra una misura del tutto proporzionata a tale obiettivo. Tuttavia, poiché le autorizzazioni sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, irregolarità commesse nell’ambito della procedura di concessione vizierebbero anche la procedura di rilascio di autorizzazioni. La mancanza di autorizzazione non potrà perciò essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenerla per il fatto che essa presuppone l’attribuzione di una concessione, di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto dell’Unione.

Il giudice del rinvio chiede poi se il diritto dell’Unione ammetta una normativa nazionale che tuteli le posizioni commerciali degli operatori esistenti prevedendo distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli degli operatori esistenti, ma che preveda la decadenza della concessione nell’ipotesi che il concessionario gestisca direttamente o indirettamente attività transfrontaliere di gioco assimilabili a quelle gestite dall’AAMS ovvero giochi d’azzardo proibiti dall’ordinamento giuridico nazionale.

La Corte ha già dichiarato che il Trattato UE non ammette che uno Stato membro che abbia escluso, in violazione del diritto dell’Unione, una categoria di operatori dall’attribuzione di concessioni cerchi di rimediare a tale violazione, proteggendo però le posizioni commerciali acquisite prevedendo distanze minime tra gli esercizi dei concessionari nuovi e quelli esistenti. Per quanto riguarda la decadenza dalla concessione, la Corte ha già osservato che le disposizioni non erano formulate in modo chiaro, preciso e univoco e che, in tali circostanze, non si può addebitare ad un operatore il fatto di aver rinunciato a presentare una candidatura per una concessione, in assenza di qualsiasi sicurezza sul piano giuridico.
Spetta al giudice del rinvio valutare il contesto fattuale e le conseguenze della citata sentenza Costa e Cifone, per verificare se le situazioni nelle cause odierne siano o meno paragonabili.

Nell’ipotesi in cui dovesse constatare che, nel caso di specie, la Goldbet, prima di decadere dai suoi diritti, ha partecipato alle procedure di rilascio di concessioni e ne ha ottenute alcune tramite una società italiana controllata, tale giudice dovrà valutare se la Goldbet debba essere considerata far parte degli operatori esistenti che, in realtà, erano avvantaggiati dalle norme sulla distanza minima. Se invece la Goldbet non ha partecipato a dette procedure, il giudice del rinvio dovrà verificare se abbia rinunciato a candidarsi a causa dell’incertezza dello schema di convenzione.
Inoltre, tale giudice dovrà stabilire se tale decadenza dei diritti sia stata pronunciata per il fatto che la Goldbet ha offerto giochi non autorizzati o perché esercita attività transfrontaliere. In quest’ultima ipotesi, il diritto dell’Unione non ammette una normativa nazionale che impedisca di fatto qualsiasi attività transfrontaliera nel settore del gioco, in particolare, nei casi in cui avviene un contatto diretto fra il consumatore e l’operatore ed è possibile un controllo fisico, per finalità di pubblica sicurezza, degli intermediari dell’impresa presenti sul territorio.

Infine, il giudice del rinvio chiede se il diritto dell’Unione, qualora un operatore disponga, nello Stato membro in cui è stabilito, di un’autorizzazione, ammetta che un altro Stato membro subordini al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalle proprie autorità la possibilità di offrire siffatti servizi a consumatori che si trovino nel suo territorio.

La Corte ha già dichiarato che gli Stati membri dispongono di ampio margine discrezionale riguardo agli obiettivi che intendono perseguire ed al livello di tutela dei consumatori. Non esiste un obbligo di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni rilasciate dai vari Stati membri.
Ne discende che ogni Stato membro conserva il diritto di imporre agli operatori che propongono giochi d’azzardo l’ottenimento di un’autorizzazione, senza che un’autorizzazione rilasciata in un altro Stato membro possa esservi d’ostacolo.

fonte: ilsole24ore/L'Italia non può impedire agli stranieri di gestire le scommesse

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