Tribunale di Torino, Sezione Distaccata di Chivasso, in composizione monocratica, sentenza n. 137/13 del 13 maggio 2013, Giudice Dott.ssa Chiara Comune.
La soluzione del caso affrontata dalla sentenza in esame si pone in controtendenza rispetto agli orientamenti giurisprudenziali formatisi in ordine alla fattispecie di omesso versamento di IVA.
Vale la pena ricordare che l’illecito di cui all’art.10 ter è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 35, comma 7 del D.L. 4 luglio 2006 n.223, convertito con Legge 4 agosto 2006 n.248.
L’ipotesi di reato contiene un rinvio alla fattispecie dell’art. 10 bis, giacchè la condotta presuppone un omesso versamento, avente però per oggetto, anziché le ritenute fiscali, l’imposta sul valore aggiunto.
L’interesse protetto è, quindi, evidentemente la tempestiva e completa riscossione dei tributi da parte dell’erario ed in ciò si differenzia dalla tutela alla fedeltà dichiarativa proprio dei reati di dichiarazione degli artt. 2, 3, 4 e 5.
Il Legislatore ha, dunque, assimilato di fatto il comportamento di colui che non versa l'IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale a quello del sostituto di imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata dal sostituito.
Quanto al momento consumativo, questo coincide con la scadenza del termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo (vale a dire il 27 dicembre).
Si tratta di un termine già fissato dall’art. 6, comma 2 della L. n. 405 del 1990, di guisa che per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste ma occorre che l'omissione del versamento dovuto si protragga sino a quella data (Cass. pen. Sez. III, 08-01-2013, n. 503).
Elemento determinante della fattispecie è, tuttavia, la dichiarazione annuale che il contribuente deve effettua, per l’IVA (come per i redditi), in regime di autoliquidazione dell’imposta.
La dichiarazione IVA (come quella dei redditi) è un atto autonomo rispetto al versamento.
La norma dell’art.10 ter punisce, infatti, non chi, entro i termini di legge, abbia omesso di versare l’IVA effettivamente dovuta, ma chi abbia omesso di versare l’IVA “dovuta in base alla dichiarazione annuale”, cioè, in sostanza, l’IVA dichiarata a proprio debito.
L’esplicito riferimento normativo alla dichiarazione annuale non è casuale, nè irrilevante, ma disegna con esattezza la natura e la funzione della norma incriminatrice, la quale punisce la non corrispondenza tra dichiarato e versato, senza necessità di verificare previamente, ai fini della sussistenza del reato, che esista anche una corrispondenza tra IVA effettivamente dovuta e IVA dichiarata (Cass. Sez. III, 14-01-2010, n. 6293).
A differenza di altre norme incriminatrici contenute nel Decreto legislativo 10 marzo 2000 n.74 (come ad esempio l’art.3, l’art.4 o l’art.5), non assume qui alcuna rilevanza l’aspetto dell’evasione dell’imposta, ma solo il suo mancato versamento.
Per tale ragione, si ritiene che nessuna efficacia scriminante ai fini penali potrà riconoscersi all’errore in cui il contribuente è incorso, in sede di redazione della dichiarazione annuale, nella quantificazione dell’IVA dovuta, in quanto errore che cade direttamente sul contenuto della norma incriminatrice e quindi, in quanto tale, irrilevante ex art.5 c.p.
L'obbligo di indicazione nella dichiarazione annuale e, conseguentemente, di versamento dell'IVA, è stato, soprattutto sino ad oggi, ordinariamente svincolato, fatti salvi i casi di applicabilità del regime di IVA “per cassa" di cui al D.L.29 novembre 2008, n. 185 convertito nella L. n. 134 del 2012, dall'effettiva riscossione delle somme corrispettivo delle prestazioni effettuate.
Ciò posto, proprio la strutturazione del reato in termini di condotta omissiva svincolata dall'effettivo incasso non consente di confinare il profitto del reato alla sola somma incassata e non versata senza considerare altresì, il profitto necessariamente insito nel risparmio economico comunque derivante dal mancato versamento dell'imposta.
Se, infatti, non può disconoscersi validità all'affermazione, già resa da alcune pronunce della Cassazione, secondo cui il profitto può certamente coincidere con l'importo dell'IVA incassata (Cass. Sez. III, 16-05-2012, n. 30140), è altresì indubitabile la pari validità del principio secondo cui il profitto del reato tributario può essere altresì individuato nel risparmio di imposta (Cass. Sez.III, 01-12-2011, n. 1199); e, nella specie, non vi possono essere riserve sul fatto che un tale risparmio venga ad essere sicuramente concretizzato anche dal mancato versamento dell'IVA dovuta (Cass. Sez. III, Sent., 03-05-2013, n. 19099).
Fonte: ilsole24ore/Evasione I.V.A.: un nuovo orientamento giurisprudenziale
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lunedì 16 settembre 2013
Evasione I.V.A.: un nuovo orientamento giurisprudenziale
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