venerdì 30 agosto 2013

Anche il dirigente deve impugnare il licenziamento entro 60 giorni

Anche il dirigente deve impugnare il licenziamento entro 60 giorni

Lo ha stabilito il Tribunale di Milano, con sentenza pubblicata il 9 luglio 2013.

Nello specifico, il Tribunale ha richiamato la disciplina dell’art. 32 della L. n. 183/2010 (cosiddetto “Collegato Lavoro 2010”), che ha esteso l’onere di impugnazione del licenziamento, a pena di decadenza, “a tutti i casi di invalidità” del recesso aziendale, onerando altresì il lavoratore a depositare il ricorso nei successivi 270 giorni (divenuti 180 giorni con l. n. 92/2012, la cosiddetta “Riforma Fornero”).

Il Tribunale ha, quindi, soggiunto che l’espressione letterale utilizzata dalla normativa (“tutti i casi di invalidità”) si riferisce anche al licenziamento dei dirigenti, a prescindere dal fatto che il medesimo sia contestato sotto il profilo della illegittimità (insussistenza della giusta causa), o della ingiustificatezza (diritto del dirigente al pagamento dell’indennità supplementare). E’ vero che, nel primo caso, il vizio del licenziamento ha fonte legale (violazione degli artt. 2118 e 2119 cod. civ.), mentre nel secondo le pretese del dirigente sono fondate sulla disciplina pattizia del CCNL di categoria. Tuttavia, in entrambi i casi, viene denunciato un vizio giuridico del licenziamento e, quindi, in definitiva, la sua “invalidità”.

Ne discende che, se il dirigente ha proposto il ricorso senza aver preventivamente impugnato stragiudizialmente il licenziamento, nel termine di 60 giorni dalla sua intimazione, tale ricorso deve essere rigettato in via preliminare, per intervenuta decadenza.
La causa avrebbe potuto finire qui, con una pronuncia allo stato degli atti. La sentenza ha, però, voluto esaminare, anche nel merito, le pretese del dirigente, respingendole.

Anzitutto, la sentenza ha evidenziato che il dirigente non ha contestato gli addebiti disciplinari, sotto il profilo della loro oggettiva sussistenza, limitandosi a denunciare la pretesa “inesigibilità” dell’adempimento: il dirigente ha sostenuto, infatti, che l’azienda non lo aveva messo in condizioni di poter svolgere pienamente il suo incarico. In proposito, la sentenza ha stabilito che il dirigente non può limitarsi ad una generica contestazione di questa natura, essendo onerato di allegare e provare quali pretesi doveri non sarebbero stati adempiuti dal datore di lavoro, così ponendo il dirigente nella lamentata impossibilità di svolgere le sue mansioni.



La sentenza ha, altresì, accertato la legittimità dell’addebito disciplinare relativo al fatto che il dirigente, utilizzando un hard disk portatile e in violazione della regolamentazione aziendale, ha sottratto documentazione aziendale riservata, a cui aveva accesso in ragione delle sue mansioni. Il dirigente si è difeso sostenendo, genericamente, che il suo comportamento sarebbe stato scriminato dal preteso esercizio del diritto di difesa. Ma la sentenza ha escluso la fondatezza di tale eccezione, poiché il dirigente non ha spiegato il collegamento tra la sottrazione di segreti aziendali, che nulla c’entrano con la sua vicenda personale, e il dedotto esercizio del diritto di difesa. Ciò vale a fortiori perché, in relazione a tale comportamento, il dirigente è stato rinviato a giudizio in sede penale.

Fonte: ilsole24ore

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