Non si può estendere il beneficio della riduzione alla metà della sanzione a seguito del positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, previsto per i casi più gravi di guida in stato di ebbrezza, alle ipotesi più lievi. È quanto emerge dalla sentenza della Corte Costituzionale dell'8 aprile 2021, n. 62.
Il Giudice di pace di Genova sollevava questioni di legittimità costituzionale dell'art. 186, comma 9-bis, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), aggiunto dall'art. 33, comma 1, lettera d), della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), nella parte in cui non prevede un istituto o una prestazione che consenta alle persone incorse nella violazione dell'art. 186, comma 2, lett. a), cod. strad., di beneficiare della riduzione alla metà della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, parimenti a quanto previsto per le ipotesi di cui alle successive lettere b) e c) dello stesso comma, per contrasto con l'art. 3 Cost., e con l'art. 29, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
Con ordinanza n. 247 del 2013 la Corte Costituzionale dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 186, comma 9-bis, cod. strad., sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., con riguardo alla scelta del legislatore di negare la possibilità di sostituire la pena detentiva e pecuniaria irrogata per il reato di guida in stato di ebbrezza con il lavoro di pubblica utilità qualora la fattispecie risultasse aggravata dal fatto di avere cagionato un incidente stradale.
Con sentenza n. 198 del 2015 la Corte dichiarò infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in esame, censurata in riferimento all'art. 3 Cost., laddove non prevede, per il caso di svolgimento con esito positivo del lavoro di pubblica utilità, che la riduzione alla metà della sanzione accessoria della sospensione della patente possa essere operata senza tener conto dell'indicato raddoppio. La sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità avvia una vera e propria procedura di tipo premiale, giacché, in considerazione degli esiti positivi della prestazione offerta al soggetto condannato, il giudice assume nei confronti di quest'ultimo, una serie di provvedimenti favorevoli, fra cui il dimezzamento della durata della sospensione della patente di guida.
Il giudice remittente si duole dell'incongruenza tra la posizione finale del trasgressore della fattispecie di cui all'art. 186, comma 2, lett. a), sanzionato in ogni caso con la sospensione della patente di guida da tre a sei mesi, e la posizione finale del trasgressore della più grave fattispecie punita dalla lett. b), come risultante dall'esito del positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità che comporta, beneficiando della riduzione alla metà, una identica misura minima di tre mesi di sospensione della patente.
L'ordinanza di rimessione auspica l'introduzione, anche per la condotta costituente illecito amministrativo, di un fattore di premialità comune a quello garantito per le condotte di rilevanza penale, addebitando alla riducibilità della misura minima della sospensione della patente inflitta per la violazione di cui alla lettera a) del comma 2 dell'art. 186 cod. strad., l'effetto censurabile di omologare tale sanzione a quella fissata per le condotte di rilevanza penale, sebbene in origine ragionevolmente differenziate.
La possibilità di sostituzione della pena è prevista, però, per i soli illeciti penali e, tra questi, solo per quelli per i quali il legislatore stabilisce una pena detentiva, sola o congiunta ad una pena pecuniaria; la procedura di tipo premiale, disciplinata dall'art. 186, comma 9-bis, non può assumersi come un tertium comparationis, né tanto meno come soluzione che possa applicarsi allo scopo di ridurre la misura della sospensione della patente di guida conseguente alla violazione prevista dalla lettera a) dell'art. 186, comma 2, cod. strad., posto che, come già affermato dai giudici delle leggi, essa ha un evidente carattere speciale, culmina nella irrogazione di una pena sostitutiva ed è intimamente correlata alla natura degli illeciti penali cui la misura accede.
Per detti motivi la Corte Costituzionale dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 186, comma 9-bis cod. strad., sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., e all'art. 29, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, dal Giudice di pace di Genova.
fonte:altalex.com
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