giovedì 1 aprile 2021

Corteggiamento petulante e ossessivo: è reato di molestia e disturbo alle persone

Corteggiare ossessivamente una donna, ignorando il totale disinteresse da lei manifestato, configura il reato di cui all'articolo 660 c.p.
Questo è quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione V penale, con la sentenza 9 dicembre 2020 - 1° marzo 2021, n. 7993.
Il fatto
La Corte d'Appello di Trieste confermava la sentenza del Tribunale con la quale il ricorrente veniva condannato “alla pena di tre mesi di arresto per il reato di molestie”, condanna sospesa ma condizionata al pagamento di 4000 euro, a titolo di risarcimento in favore della parte civile.
L'imputato ricorre in Cassazione, sollevando cinque motivi di ricorso:
- con il primo ed il secondo motivo, eccepisce la violazione di legge in relazione alla sussistenza dell'elemento oggettivo e dell'elemento soggettivo del reato di molestie, di cui all'art. 600 c.p.;
- con il terzo motivo di ricorso, lamenta la violazione di legge in riferimento agli artt. 132 e 133 c.p., e l'illogicità della motivazione circa la sanzione ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e ciò in quanto il Tribunale aveva valutato la non particolare gravità della condotta, data l'assenza di molestie telefoniche, di pedinamenti e di appostamenti, tali da far ritenere eccessiva la sanzione, potendosi comminare anche solo la pena pecuniaria dell'ammenda;
- con il quarto motivo, si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento all'art. 185 c.p.p. e agli artt. 2697 e 2043 del cod. civ., sotto il profilo della mancata prova del danno al cui risarcimento si è condannato l'imputato;
- con il quinto motivo, viene dedotto il vizio di manifesta illogicità della motivazione per quanto riguarda la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, subordinata al risarcimento del danno considerato il perdurante stato di disoccupazione.
La sentenza
La Corte, dopo aver vagliato tutti i motivi di ricorso, lo dichiara inammissibile.
In particolare: il primo motivo risulta essere “generico e manifestamente infondato” considerando che la sentenza della Corte d'Appello è in linea con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini della configurabilità del reato previsto dall'articolo 660 c.p. per petulanza deve intendersi un atteggiamento “di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna nell'altrui sfera di libertà”. Inoltre, la pluralità di azioni di disturbo, integra l'elemento materiale del reato di molestie e non in quello di atti persecutori e ciò in quanto si sono realizzate significative ed effettive intrusioni nella sfera privata altrui.
In particolare: “i saluti insistenti e confidenziali, con modalità invasive della sfera di riservatezza altrui (in un'occasione abbracciandola); gli incontri non casuali e cercati nel bar dove lavorava la vittima (in cui l'imputato entrava ripetutamente con pretesti, senza consumare nulla, ma con il solo scopo di incontrare la persona offesa e di tentare approcci con lei), come anche per strada, in un'occasione inseguendola e salendo sul suo stesso autobus; la sosta sotto la sua casa; la manifesta rappresentazione della vittima al ricorrente di non gradire tali atteggiamenti di corteggiamento petulante ed ossessivo”.
Risultano infondati anche gli argomenti addotti per supportare la tesi della insussistenza dell'elemento soggettivo del reato di molestie o disturbo alle persone e ciò in quanto, ai fini della configurabilità del predetto reato, “è sufficiente la coscienza e volontà della condotta” e la consapevolezza che la stessa sia idonea ad arrecare disturbo al soggetto che la subisce. Nel caso di specie, la persona offesa ha reiteratamente dichiarato all'imputato il proprio disappunto per un corteggiamento ritenuto “molesto, pressante e intollerabilmente indiscreto”,
Infondata anche la doglianza di cui al terzo motivo riguardante la pena applicata e la mancata concessione delle attenuanti generiche. La Corte evidenzia che la condotta del soggetto agente, si è protratta per oltre un anno e mezzo, tanto da costringere la vittima a richiedere l'intervento delle forze dell'ordine e, ciononostante, l'imputato non ha dimostrato alcun pentimento dinanzi al malessere dimostrato dalla donna.
Infine, riguardo agli ultimi due motivi, attinenti, il primo, alla mancata prova del danno e, il secondo,  alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno medesimo, va sottolineato che lo stato d'ansia ingenerato nella vittima è stato ampiamente provato, supportato anche dalle testimonianze rese in giudizio e che, riguardo l'ultimo motivo, l'imputato non ha in alcun modo dimostrato di trovarsi impossibilitato ad adempiere, tanto da non aver richiesto neppure l'ammissione al gratuito patrocinio e, in sede dibattimentale, dichiarando addirittura di aver lavorato anche se solo per un periodo di tempo limitato, “avvalorando la conclusione circa la non stabilità della condizione di disoccupazione”.
Conclusioni
A parere della Suprema Corte, dunque, “configura il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, manifestamente a ciò contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell'altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà”.
fonte: altalex.com

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