lunedì 8 marzo 2021

Social network: il rischio di diffamazione aggravata

I social rappresentano una piazza virtuale in cui discutere, confrontarsi e scambiare opinioni. Tuttavia, talvolta capita che gli animi si accendano e che volino espressioni colorite. Ebbene, è sbagliato pensare che scrivere su una piattaforma web non comporti alcuna conseguenza, poiché ciascuno è responsabile non solo di quel che fa, ma anche di quel che dice o scrive.
Un commento offensivo sulla bacheca di un amico o su un gruppo può integrare il reato di diffamazione.

Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà di manifestazione del pensiero, pertanto, ciascuno di noi è libero di esternare quel che pensa. Tale libertà non è assoluta ma incontra dei limiti. Ad esempio, chi lede la reputazione e la dignità personale di un altro è sanzionabile.
Facciamo qualche esempio.
La donna che sul proprio profilo Facebook dileggia l’ex marito risponde penalmente del reato di diffamazione aggravata. Lo stesso dicasi per l’uomo che definisce pubblicamente la propria ex come “mantenuta” (Cass. Pen. 522/2016: nel caso di specie, l’epiteto “mantenuta” era stato scritto sulla causale del versamento del mantenimento). Parimenti, l’autore di un post su Facebook in cui un’altra persona viene apostrofata come “intrallazzatore” risponde di diffamazione aggravata (Cass. Pen. 26054/2019).
Diffamazione aggravata per affermazioni offensive su Facebook
Il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) ricorre allorché, consapevolmente, si offenda la reputazione altrui, comunicando con più persone; il reato è aggravato se l’offesa viene arrecata tramite la stampa o con altro mezzo di pubblicità. In tal caso, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.
Quindi, arrecare un’offesa su una pagina Facebook, anche se il profilo è visibile solo agli amici, costituisce diffamazione aggravata. Infatti, se nel profilo si hanno almeno due amici, che possono visionare il post, è integrata la fattispecie di reato. Lo stesso dicasi per frasi contenute in messaggi inviati in gruppi chiusi: se il post è visibile ad almeno due persone, ricorre il reato. Il medesimo discorso vale per i forum o altre piattaforme.
La giurisprudenza è costante nell’affermare che “l'uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata, […] in quanto trattasi di condotta potenzialmente in grado di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone, qualunque sia la modalità informatica di condivisione e di trasmissione” (Cass. 50/2017; Cass. 8482/2017; Cass. 24431/2015; Cass. 41276/2015). I social non sono equiparati alla stampa ma ai mezzi di pubblicità citati dalla norma penale, in cui rientrano tutti quei sistemi di comunicazione e diffusione - dal fax ai social media – che consentono la trasmissione ad un numero considerevole di soggetti.
Ricorre diffamazione anche se non si indicano nome e cognome
Erroneamente alcuni pensano che un post offensivo, che allude ad una persona senza nominarla espressamente, non possa rientrare nella fattispecie di reato. Ebbene, se il soggetto offeso può essere chiaramente identificato sussiste la lesione della reputazione e la condotta lesiva costituisce reato (Cass. 16712/2014). Ad esempio, è stato condannato per diffamazione aggravata l’autore di un post in cui affermava, con linguaggio colorito, che il collega che lo avrebbe sostituito era un raccomandato e aggiungeva altri particolari offensivi sulla moglie.
La persona offesa non era stata indicata per nome e cognome ma era facilmente individuabile. Secondo la Cassazione, “ai fini dell'integrazione del reato di diffamazione, è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dall’indicazione nominativa”.
Risarcimento del danno all’immagine e alla reputazione
La condotta offensiva, oltre a costituire reato, può dar luogo ad un’azione risarcitoria in ambito civile. Infatti, la persona offesa può costituirsi parte civile nel procedimento penale di diffamazione oppure iniziare una causa civile. In tal caso, dovrà dimostrare di aver subito un pregiudizio alla propria reputazione o all’immagine a causa delle espressioni offensive usate dall’autore del post su Facebook.
Si pensi ad un ristorante screditato sul web che, a causa del post offensivo, riceva delle disdette (danno patrimoniale) o alla giovane donna che deve ricorrere ad uno psicoterapeuta per riprendersi dalla shock del messaggio denigratorio (danno non patrimoniale).
fonte:altalex.com

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