Per la configurazione del reato previsto dall'art. 189 comma 7 codice della strada è sufficiente che l'agente si rappresenti la possibilità che dall'incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di assistenza ma, accettandone il rischio, ometta di fermarsi.
L'accertamento e la valutazione delle circostanze concrete (natura delle lesioni e non evidente visibilità delle stesse, soccorso di altre persone, mancata costituzione di parte civile, avvenuto risarcimento da parte dell'assicurazione, comportamento dell'imputato) può ben determinare, tuttavia, il riconoscimento della particolare tenuità del fatto.
Questo, in pillole, il contenuto della sentenza n. 27241/2020 depositata il 1° ottobre 2020 dalla Quarta Sezione Penale della Corte di cassazione in relazione ad una fattispecie di omessa assistenza ex art. 189 commi 1 e 7 del codice della strada.
Il fatto
Nella vicenda processuale da cui scaturisce la pronuncia che si annota il ricorrente era stato riconosciuto colpevole, nei due gradi di giudizio, per non aver presto assistenza a un ciclista rovinato a terra a seguito dell'impatto con il veicolo dal primo condotto, e per essersi allontanato subito dopo aver constatato l'assenza di lesioni evidenti in capo al conducente del velocipede il quale risultava aver riportato contusioni giudicate guaribili in giorni cinque.
Con ricorso per Cassazione l'automobilista, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deduceva l'errata applicazione dell'art. 189 C.d.S., comma 7 e vizio motivazionale assumendo, sulla scorta di un orientamento della giurisprudenza di legittimità, che sia da escludere il bisogno di assistenza in caso di assenza di lesioni ovvero qualora altri abbiano già provveduto al soccorso: osservava in proposito che la persona offesa, riportante una lesione di lievissima entità, che non veniva sottoposta a trattamento specifico da parte degli operatori sanitari, era stata immediatamente circondata da più persone accorse in aiuto.
Ancora, deduceva il ricorrente che la fattispecie di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7 non appariva integrata nemmeno sotto il profilo dell'elemento soggettivo, difettando il dolo, e, in particolare, la rappresentazione del bisogno di assistenza della persona offesa: ciò, non solo in quanto l'incidente non presentava caratteristiche di gravità ma anche in ragione del fatto che il ricorrente si era fermato per verificare le condizioni dell'investito e, apputa l'assenza di lesioni evidenti, si era allontanato per il sopraggiungere di connazionali di questi in atteggiamento peraltro aggressivo.
Con altro motivo il ricorrente deduceva la mancanza di motivazione sulla richiesta di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto a fronte della lieve entità del danno subito dalla persona offesa, del comportamento post delictum dell'agente - il quale si era allontanato dal luogo dell'incidente solamente dopo aver appurato che l'investito non aveva riportato ferite - della mancata costituzione di parte civile della persona offesa.
Con un terzo motivo contestava la dosimetria della pena in quanto non veniva riconosciuto il minimo edittale, in contraddizione con l'esiguità del danno patito dalla persona offesa, con l'intervenuto risarcimento da parte della compagnia assicuratrice, con la ridotta intensità del dolo, con il comportamento processuale collaborativo dell'imputato.
La sentenza
La Corte ha respinto il primo motivo, assumendo che la fattispecie in questione possa essere integrata, sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato, anche dal dolo eventuale, che si configura quando l'agente ometta consapevolmente di fermarsi e prestare assistenza pur rappresentandosi che dal suo comportamento, come utente della strada, possa essere derivato un danno a terzi e questi possano versare in uno stato di difficoltà.
Ha, a riguardo, precisato che il reato di omissione di assistenza presuppone, quale antefatto non punibile, un incidente stradale da cui sorge l'obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di lesioni in senso tecnico, poiché è sufficiente lo stato di difficoltà indicativo del pericolo che dal ritardato soccorso può derivare per la vita o l'integrità fisica della persona e non anche necessario un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata.
La condotta commissiva, peraltro, va tenuta a prescindere dall'intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell'incidente medesimo.
Con riguardo al secondo motivo, la Corte ne ha invece riconosciuto la fondatezza ricordando come l'art. 131 bis c.p. abbia riguardo “alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena (Sez. Un. 13681 del 25/02/2016, Tushaj)”: sotto questo profilo la Corte ha stigmatizzato la mancata considerazione di concreti elementi riferibili alla realtà processuale ed alle emergenze istruttorie, in particolare, la natura delle minime lesioni riportate dalla persona offesa, la non evidente visibilità delle stesse, il soccorso di altre persone, la mancata costituzione di parte civile della persona offesa, l'avvenuto risarcimento dela danno da parte dell'assicurazione, il fatto che l'imputato si fosse comunque fermato prima di allontanarsi e che, una volta rintracciato, non avesse mai negato il suo coinvolgimento nell'incidente.
Ha concluso pertanto accogliendo l'istanza di applicazione dell'art. 131 bis c.p. e, dichiarato assorbito l'ulteriore motivo, ha disposto l'annullamento senza rivio della sentenza impugnata.
(fonte: www.altalex.com)
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