Non può applicarsi l'attenuante della provocazione per il reato di tentato omicidio commesso dal marito nei confronti della moglie che lo aveva tradito (Sent. n. 4373/2020 Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione).
Il caso vedeva un uomo essere stato condannato per il reato di tentato omicidio commesso ai danni della moglie, sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia e minaccia grave nei confronti del compagno della moglie. Nella fattispecie, l'uomo aveva trascinato la moglie per i capelli fino alla stanza da bagno, le rovesciava acido muriatico sul volto e sul capo e tentava di farle ingerire la sostanza tossica contenuta nella bottiglia e, dopo avere preso un coltello, l'aveva attinta al volto, agli zigomi e alle palpebre.
La condotta si arrestava solo per l'intervento dei vicini, dopo che i figli della coppia erano riusciti ad aprire la porta di casa. All'imputato venivano riconosciute le aggravanti della premeditazione, di avere agito con crudeltà ed alla presenza dei figli minori, mentre venivano escluse le attenuanti generiche e la provocazione.
Avverso la decisione di merito ricorre per Cassazione il marito lamentando la sussistenza dell'omicidio tentato posto che, secondo il ricorrente, la condotta era finalizzata solo a spaventare la moglie per punirla ed indurla ad interrompere la relazione extraconiugale, dichiarando di avere agito con dolo d'impeto per interrompere detta relazione e di avere usato la violenza solo per spaventarla e punirla.
Sempre per l'imputato, la sua reazione era il frutto di una carica di esasperazione accumulata nel tempo a causa della relazione extraconiugale della moglie, che era esplosa al rientro a casa della donna, sapendo che detto rapporto era ancora in atto.
Per quanto attiene all'invocato riconoscimento della attenuante della provocazione in favore del ricorrente, che si legherebbe allo stato d'ira indotto dalla relazione extraconiugale di costei, i giudici di merito hanno rigettato la richiesta spiegando che la condotta aveva tratto scaturigine da un contesto di maltrattamenti già in atto da tempo verso la donna, che era impossibilitata a separarsi dal marito stante la ferma e minacciosa opposizione di quest'ultimo.
La donna era, quindi, stata obbligata ad interrompere la relazione extraconiugale e lo stato d'ira nasceva in una cornice del tutto particolare e non si generava per effetto di un fatto ingiusto altrui, che legittima l'applicazione dell'attenuante; l'azione indotta dall'ira derivava, piuttosto, dal fatto che la donna aveva disatteso la condotta costrittiva dell'uomo, che pretendeva di affermare valori contrari ai principi di parità e di dignità.
Trattasi di una motivazione adeguata che ha correttamente escluso l'invocata provocazione, non potendo configurarsi l'attenuante quando il fatto che si desume ingiusto sia ritenuto tale dal solo agente e non sia apprezzabile con i medesimi crismi nella valutazione generalizzata.
“L'aver ammesso di amare un altro uomo e l'essersi trovata la donna nell'impossibilità di interrompere la convivenza coniugale, proprio per l'atteggiamento padronale e costrittivo dell'uomo, non può integrare a favore del marito l'elemento strutturale della circostanza attenuante della provocazione, avendo inciso l'atteggiamento di costui sul diritto personale della donna di non continuare una convivenza matrimoniale, essendo venuta meno l'affectio maritalis”.
(fonte: www.altalex.com)
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