La Corte di legittimità, con la pronuncia Cass. Pen. 6 maggio 2019, n. 25140, ha disatteso la tesi della difesa che escludeva la responsabilità dell’automobilista per difetto della qualità di "conducente" quale requisito necessario per la configurabilità del reato ex art. 186 cod. strada: per essere ritenuti responsabili non è sufficiente essere al posto di guida ma occorre altresì circolare.
La predetta Corte afferma invece che la "fermata" costituisce una fase della circolazione e, per questo motivo, conferma la sanzione per l’automobilista ubriaco fermato "perché zigzagava con la macchina", lungo il rettilineo dove il carabiniere si trovava ad eseguire un posto di blocco. Se fermati ad un controllo, dunque, si può parlare di “conducente” anche con veicolo fermo.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Cassino che - ritenuto L. M. responsabile del reato di guida in stato di ebbrezza (accertato in Gaeta il 04/08/2013) - lo condannava, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 4 di arresto ed euro 1.000 di ammenda, pena sospesa e non menzione. Disposta altresì la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per anni due.
2. Avverso la menzionata sentenza, l'imputato interpone ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore, sollevando due motivi. Con il primo, deduce errata applicazione della legge, mancanza dello status di conducente e manifesta illogicità della motivazione. La Corte distrettuale si è appiattita sulle motivazioni del primo giudice, raffigurando la vicenda diversamente da quanto realmente accaduto.
Manca in capo al M. la qualità di "conducente" e quindi del necessario requisito richiesto dall'art. 186 cod. strada che contempla un reato proprio, poiché si deve essere alla guida per venire reputati responsabili. Di più: non è sufficiente essere al posto di guida ma occorre altresì circolare. Erroneamente, dunque, la Corte di appello ritiene che la "fermata" costituisce una fase della circolazione.
Con il secondo motivo, si lamenta l'errata interpretazione delle prove assunte in violazione dell'art. 192 c.p.p. Si chiede pertanto a questa Corte Suprema una diversa interpretazione delle prove. Al riguardo, si riportano stralci delle dichiarazioni dell'imputato, dalla teste M. R., dell'appuntato G. S.. Si sottolinea, poi, che l'appuntato M. non è mai stato sentito al processo di primo grado nonostante fosse il verbalizzante.
3. Il ricorso è inammissibile.
4. Il primo motivo è manifestamente infondato a fronte di una motivazione che ha fatto corretta applicazione dtaleAdge e che si appalesa altresì adeguata, congrua e completa. Ricorda, in particolare, come G. S. - facente parte insieme ad A. M. della pattuglia dei Carabinieri che aveva proceduto al controllo dell'autovettura condotta dal M. - abbia riferito, senza incorrere in alcun equivoco, di aver fermato il prevenuto "perché zigzagava con la macchina", lungo il rettilineo dove l'operante si trovava ad eseguire un posto di blocco. La circostanza, continua l'impugnata sentenza, è coerente con le annotazioni presenti nel verbale di accertamenti urgenti e nel verbale di elezione di domicilio che l'imputato aveva sottoscritto senza sollevare alcuna obiezione. La Corte di appello, a tutto voler concedere, sostiene che comunque la tesi difensiva è inidonea ad escludere la sussistenza del reato atteso il costante orientamento di questa Corte di legittimità secondo il quale la "fermata" costituisce una fase della circolazione (sez. 4, n. 21057 del 25/01/2018, F., Rv. 272742; sez. 4, n. 45514 del 07/03/2013, Pin, Rv. 257695).
5. Il secondo motivo è inammissibile perché il ricorrente sviluppa considerazioni di merito che dovrebbero indurre questa Corte a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle della Corte territoriale. Una siffatta incursione "nel fatto" non è, tuttavia, consentita in questa sede, tanto più a fronte di una motivazione adeguata ed immune da vizi logici. Il compito della Corte di cassazione non consiste nell'accertare la plausibilità e l'intrinseca adeguatezza dei risultati dell'interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell'interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Non può pertanto opporsi alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione, quand'anche fosse altrettanto logica, dato che in quest'ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l'area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, G. e altri, Rv. 214567).
6. In conclusione, il ricorso é inammissibile. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.