sabato 9 marzo 2019

Fedeltà coniugale, niente risarcimento per il tradimento

Respinta la richiesta presentata da un uomo e fondata sull’infedeltà della moglie che ha intrattenuto una lunga relazione con un collega di lavoro. La violazione della fedeltà coniugale non è sufficiente, secondo i Giudici, per riconoscere il diritto risarcitorio del partner tradito.
Niente risarcimento. Scoprire di essere stato tradito dal proprio coniuge è un colpo basso difficilmente accettabile. Ciò nonostante, le famigerate “corna” non sono sufficienti per pretendere un risarcimento dal partner rivelatosi infedele (Cassazione, ordinanza n. 6598/2019).
Danno. Davvero intricata la vicenda sottoposta all’esame dei Giudici del Palazzaccio. Tutto comincia quando lei – Carla, nome di fantasia – rivela a lui – Giorgio, nome di fantasia –, pochi mesi dopo la loro separazione, di avere avuto una lunga relazione con un collega d’ufficio – Antonio, nome di fantasia –.Immaginabile la reazione dell’uomo, che innanzitutto chiede l’effettuazione di un test per certificare di essere davvero il padre del loro bambino, concepito 4 mesi dopo l’inizio del tradimento da parte della moglie. Passaggio successivo è la richiesta di risarcimento nei confronti della oramai ex moglie, del suo amante e addirittura della società loro datrice di lavoro.
In sostanza, Giorgio spiega che «la scoperta della relazione extraconiugale» della coniuge gli ha provocato «un disturbo depressivo cronico», e ritiene colpevoli non solo la donna che lo ha tradito ma anche il suo amante e il loro datore di lavoro, che, a suo dire, non ha effettuato una «provveduta vigilanza sui propri dipendenti» così da «evitare conseguenze pregiudizievoli per terze persone».
Tirando le somme, Giorgio chiede il pagamento di quasi 15mila euro, cioè 4mila e 642 euro per il «danno alla salute» e 10mila euro per il «danno morale».
Domanda respinta, rispondono i Giudici, prima in Tribunale e poi in Appello, escludendo che «la violazione del dovere di fedeltà coniugale avesse costituito la causa della separazione» e aggiungendo che il tradimento non era stato attuato «con modalità tali da poter generare effetti lesivi della dignità del coniuge» tradito, anche perché esso era stato scoperto «alcuni mesi dopo la separazione legale» della coppia e a farlo emergere era stata proprio Carla «nel contesto di una conversazione privata» con Giorgio.
Dovere. La ferita provocata dalle “corna” non è però facilmente rimarginabile, e così Giorgio sceglie di proseguire la propria battaglia – di principio e di diritto – col ricorso in Cassazione, ribadendo la richiesta di vedere compensata economicamente la lesione (fisica e morale) subita ad opera del comportamento della moglie. A suo dire, non vi sono dubbi sul diritto ad ottenere un risarcimento, a fronte di una acclarata «violazione dell’obbligo della fedeltà coniugale», violazione ancor più grave perché «attuata in maniera reiterata e attraverso una stabile relazione» con un altro uomo.
Questa visione viene però respinta dai Giudici della Cassazione, i quali ribattono che «la mera violazione dei doveri matrimoniali non integra di per sé ed automaticamente una responsabilità risarcitoria», nonostante «possa essere causa di un dispiacere per l’altro coniuge e possa provocare la disgregazione del nucleo familiare».
In sostanza, «il dovere di fedeltà non trova il suo corrispondente in un diritto alla fedeltà coniugale costituzionalmente protetto», e quindi, osservano i Magistrati, «la sua violazione è sanzionabile civilmente quando, per le modalità dei fatti, uno dei coniugi ne riporti un danno alla propria dignità personale o eventualmente un pregiudizio alla salute».
Applicando questo principio, è decisiva in questa vicenda la constatazione che «la violazione del dovere di fedeltà» non è stata causa della rottura coniugale, poiché «la moglie ha svelato al marito il suo tradimento solo mesi dopo la separazione». E sullo stesso piano si colloca anche il fatto che «il tradimento non ha potuto recare un apprezzabile pregiudizio all’onore e alla dignità del coniuge tradito, in quanto non noto neppure nell’ambiente circostante o di lavoro, e comunque non posto in essere con modalità tali da poter essere lesivo della dignità della persona».
Impossibile, poi, concludono i Giudici, chiamare in causa Antonio e l’azienda dove è nata e cresciuta la relazione extraconiugale. L’uomo ha «semplicemente esercitato il proprio diritto alla libera espressione della propria personalità, diritto che può manifestarsi anche nell’intrattenere relazioni interpersonali con persone coniugate», e avrebbe potuto dover dar conto della propria condotta solo se avesse leso «la dignità e l’onore del coniuge tradito», ad esempio «vantandosi della propria conquista nell’ambiente di lavoro». Per quanto concerne il datore di lavoro, invece, esso non può essere ritenuto colpevole per non avere «sorvegliato i dipendenti»: ciò avrebbe rappresentato una illegittima «ingerenza» nella loro vita privata.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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