Hanno convissuto felicemente per cinque anni, i primi tre more uxorio, perché all’epoca ancora non c’era la possibilità di ufficializzare, di fronte allo Stato, il loro amore. Qualche mese fa hanno scoperto interessi divergenti e incompatibilità di carattere. Così, due anni dopo essersi sposate in municipio a Pordenone, una coppia di donne ha deciso di “divorziare”. Il loro è il primo caso di rottura di un’unione civile tra coppie omosessuali da quando la legge Cirinnà è stata approvata.
E il Tribunale di Pordenone lo ha trattato alla stregua di un matrimonio tradizionale: il giudice Gaetano Appierto, con una sentenza storica, ha stabilito che la dirigente d’azienda quarantenne eroghi un assegno di mantenimento di 350 euro mensili alla ex compagna, una funzionaria amministrativa di qualche anno più giovane, che lavora nel mondo della scuola pubblica.
«La nuova normativa - spiega Maria Antonia Pili, presidentessa Fvg dell’Associazione italiana avvocati per la famiglia - di fatto equipara pressoché in toto l’unione civile al matrimonio, e consente addirittura di accedere direttamente al divorzio, senza passare per la fase propedeutica della separazione. Può essere immediato, senza un solo giorno di attesa. Un iter che peraltro non prevede, per gli uniti civilmente, l’obbligo di fedeltà, facendo così venir meno, sul punto, anche l’istituto dell’addebito della separazione». Esiste, infatti, una sorta di corsia preferenziale rispetto alle coppie cosiddette tradizionali, per le quali il transito per la separazione e almeno sei mesi di attesa - ma soltanto quando c’è totale identità di vedute e non esistono conflitti per la spartizione dei beni -, sono un passaggio obbligato verso il divorzio, in cui sfocia il 98% dei casi.
Nella vicenda friulana, la coniuge economicamente più forte sollecitava il divorzio giudiziale, cioè lo scioglimento dell’unione civile in quanto l’altra non intendeva aderire in via consensuale. L’ormai ex compagna, economicamente più debole, ha chiesto e ottenuto il riconoscimento di un assegno divorzile periodico, che possa colmare il peggioramento delle proprie condizioni dovuto principalmente al fatto di aver lasciato un lavoro più remunerativo e una situazione economica-abitativa comunque più agiata nella sua città di origine, in provincia di Venezia, per trasferirsi a Pordenone e stare insieme alla compagna, la quale le aveva garantito un supporto, date le sue floride condizioni finanziarie. Insieme avevano ristrutturato e arredato un immobile di proprietà che era stato destinato a residenza familiare.
«A seguito della richiesta di divorzio, la coniuge più debole, che aveva ripiegato per una più modesta e temporanea attività lavorativa a Pordenone, avrebbe rischiato di trovarsi, per il futuro, priva di quei supporti logistici ed economici che l’avevano indotta a cambiare radicalmente il proprio stile di vita e di lavoro trasferendosi in Friuli - ricorda l’avvocata Pili -. Il giudice ha dunque valorizzato la perdita di chance, attingendo espressamente al criterio cosiddetto perequativo».
«Mi fa piacere leggere che, per la prima volta, un tribunale ha applicato la legge sulle unioni civili anche in sede di scioglimento, riconoscendo un assegno alla coniuge debole - ha commentato Monica Cirinnà, senatrice del Pd e relatrice della norma sulle unioni civili -. La legge 76/2016 equipara coppie sposate e coppie unite civilmente in tutte le fasi, riconoscendo anche in questo caso che ogni famiglia ha diritto allo stesso trattamento giuridico». «Lo ricordino i nostri ministri - ha concluso la senatrice dem - che, a Verona, si riuniranno per ribadire una presunta superiorità della famiglia “naturale”: per il diritto italiano non esiste un modello superiore alle altre, ma ogni famiglia ha pari dignità di fronte alla legge».
fonte: www.lastampa.it
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lunedì 18 marzo 2019
Coppia di donne si lascia: “Sì all’assegno di divorzio”
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