mercoledì 13 marzo 2019

Cannabis light, è spaccio vendere infiorescenze con THC oltre 0,2%

È spaccio vendere infiorescenze di «cannabis sativa» – c.d. «cannabis light» (legalizzata dalla legge 242/2016) – con THC superiore allo 0,2%, anche se entro il limite dello 0,6%. In altri termini, la «soglia di tolleranza» di THC dallo 0,2% (limite di legge) allo 0,6%, prevista per l'agricoltore, che trova fondamento nella incontrollabilità del «ciclo colturale», non si applica anche al commercio della pianta che, dunque, può essere sequestrata. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 10809 depositata ieri, accogliendo il ricorso del procuratore della Repubblica di Ancona contro il provvedimento del locale Tribunale che aveva negato la conferma del sequestro preventivo di «confezioni di cannabis light» - con Thc 0,5% - in vendita presso il negozio dell'imputato. Secondo il giudice di merito dalla previsione per cui è possibile procedere al sequestro delle piante solo in caso di coltivazione che presenti un THC superiore allo 0,6%, doveva dedursi che entro tale soglia era lecita anche la commercializzazione. Una ragionamento bocciato dalla Suprema corte. Per il commerciante di prodotti a base di canapa, infatti, a fronte della «concreta efficacia psicotropa della sostanza», può scattare il reato ex art. 73, Dpr 309/90. Per cui «quando sussista il fumus del reato ossia quando si accerti una percentuale di THC idonea a produrre un significativo effetto drogante» si può procedere al sequestro. La Corte boccia poi come «immotivata» e «destituita di qualsivoglia fondamento ermeneutico» la circolare del Ministero delle politiche agricole del 22 maggio scorso laddove include anche le infiorescenze tra i prodotti regolamentati dalla legge.
«Tale interpretazione – argomenta la Cassazione - appare la più aderente al dato normativo ed alla sua ratio, perché da una parte esonera dalla responsabilità l'agricoltore che abbia rispettato le disposizioni di legge nel caso in cui la percentuale di THC, presente nelle piante coltivate, sia idonea a produrre un effetto stupefacente e psicotropo, non essendo a lui ascrivibile in tal caso la naturale evoluzione del ciclo colturale a fronte di sementi comunque appartenenti alle varietà previste dalla legge e come tali a basso contenuto di THC». «Dall'altro, garantisce il rispetto del principio secondo cui i prodotti derivati dalla coltivazione della canapa possono essere liberamente commercializzati - nei settori di cui alla L. 242/2016 - a condizione che la quantità di THC non sia tale da provocare alcun effetto stupefacente o psicotropo, atteso che, diversamente, trova applicazione la disciplina generale prevista dall'art. 73 Dpr n. 309 del 1990».
In sintesi, conclude la decisione, «la legge 242/2016 delinea una disciplina eccezionale rispetto all'operatività dell'art. 73 del Dpr 309/90 solo limitatamente alla attività di coltivazione della canapa come ivi regolamentata ed all'utilizzo dei relativi derivati, nei limiti del parametro massimo di THC pari allo 0,2 % (con tolleranza - "soggettivamente" delimitata - sino allo 0,60%) e secondo il catalogo delle filiere e dei prodotti ivi descritti». Inoltre, «la coltivazione della canapa che presenti un valore complessivo di THC superiore a lo 0,6 per cento, rientra nella fattispecie obiettiva contemplata dall'art. 73 Dpr 309/90, tanto da potersene disporre il sequestro, pur sussistendo entro tali margini una causa di non punibilità per il coltivatore che abbia rispettato comunque le prescrizioni di legge».

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