Inoltrare via Facebook foto e video pedopornografici ad un soggetto determinato integra un'ipotesi meno grave rispetto alla pubblicazione su di un sito accessibile a tutti. In questi casi, dunque, si applica il comma 4, e non 3, dell'articolo 600-ter del codice penale che punisce con la reclusione fino a tre anni (e non da 1 a 5 anni, come il comma precedente) chi commette il reato. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza del 15 gennaio 2019 n. 1647. Il caso riguardava tre persone di origine slava – due fratelli e la moglie di uno dei due – condannati per sottrazione di minori e violenza sessuale. Gli imputati dopo aver portato via nottetempo una ragazzina di quindici anni da una comunità, in provincia di Salerno, in cui era stata collocata dal Tribunale, ne avevano abusato sessualmente. Proposto ricorso, la III Sezione ha confermato le condanne. Riguardo l'ulteriore reato commesso da uno dei due fratelli e cioè l'invio del materiale pornografico ad un amico, dopo essersi ritratto col proprio cellulare durante i rapporti, la Corte afferma che: «Sussiste il delitto di cui all'art. 600 ter comma 3 c.p. qualora il soggetto inserisca foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, ovvero quando le propaghi attraverso internet, inviandole a un gruppo o lista di discussione da cui chiunque le possa scaricare, mentre è configurabile l'ipotesi più lieve di cui al comma 4 dell'art. 600 ter, quando il soggetto invii dette foto a una persona determinata allegandole a un messaggio di posta elettronica o, come avvenuto nel caso di specie, tramite il profilo Facebook del destinatario del messaggio, sicché solo questi abbia la possibilità di prelevarle».
Non può invece applicarsi il diverso articolo 600 quater cod. pen. – Detenzione di materiale pornografico – in quanto, come ribadito di recente dalle Sezioni Unite (sentenza n. 51815/2018), tale reato «sanzionando le condotte del “procurarsi” e del “detenere” materiale pedopornografico, ha natura residuale e di norma di chiusura, rappresentando cioè l'ultimo anello di una catena di condotte illecite di lesività decrescente, che iniziano con la produzione e proseguono con la commercializzazione e con le attività di diffusione e di cessione de materiale pedopornografico, condotte queste autonomamente sanzionate dai primi 4 commi dell'art. 600 ter c.p.». Dunque, dal momento che il comportamento dell'imputato non è consistito «nella mera detenzione o nel solo procacciamento del materiale pedopornografico, ma nella diversa e più grave condotta di cessione a un soggetto determinato del video e delle foto ritraenti la minore nel compimento di atti sessuali, non vi è spazio per l'applicazione della norma residuale, a nulla rilevando né la gratuità della cessione, né la circostanza che, dopo l'invio delle immagini, le stesse siano state cancellate (dall'autore, ndr) non elidendo tale condotta il disvalore penale insito nella precedente trasmissione dei contenuti visivi pornografici».
fonte: CassaForense
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