sabato 6 ottobre 2018

Guida pericolosa, Anas corresponsabile del sinistro se la strada è senza protezioni

L'Anas deve risarcire in solido con l'istituto assicurativo ed il proprietario del veicolo, i genitori per la morte del figlio terzo trasportato su di un'auto precipitata in una scarpata a causa sia dell'assenza di qualsivoglia barriera laterale sia della negligente ed imprudente condotta di guida (con il superamento del limite di velocità). Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 24162 del 4 ottobre 2018. Inoltre, la decisione chiarisce che ai fini del ristoro del «danno biologico» il padre e la madre devono fornire adeguata prova della lesione subita. Mentre il risarcimento chiesto dai nonni non può essere bocciato adducendo la semplice assenza di convivenza. Dopo una liquidazione del danno che in primo grado era stata piuttosto generosa – 581mila euro per il padre, 604mila per la madre e 141 per la nonna -, proposto appello da parte dell'assicurazione, la Corte aveva rivisto al ribasso le cifre. In particolare, per il giudice di secondo grado «la domanda dei genitori, diretta ad ottenere il risarcimento del danno biologico subito iure proprio per il decesso del figlio, era da rigettare, non avendo gli stessi fornito la prova della intervenuta compromissione del proprio stato di salute fisico e/o psichico». «Non erano sufficienti, al riguardo - spiegava il Collegio -, i depositati certificati medici, da cui non risultava la sussistenza di un danno biologico medicalmente accertato». Una lettura confermata dalla Suprema corte.
I giudici di legittimità hanno invece bocciato la decisione di appello laddove aveva negato il risarcimento alla nonna «in quanto solo la convivenza consentiva di esteriorizzare l'intimità delle relazioni di parentela anche allargate e far assumere rilevanza al collegamento tra danneggiato primario e secondario». Per la Cassazione, che richiama un proprio precedente (29332/2017), «in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta “iure proprio” dai congiunti dell'ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile dimostrarne l'ampiezza e la profondità». E ciò, prosegue, «anche ove l'azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l'articolo 29 Costituzione, all'ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto». Nel caso affrontato, invece, la Corte territoriale ha «automaticamente escluso» la sussistenza del danno morale patito dalla nonna, per effetto della morte del nipote, «sulla sola base della non convivenza tra i due, senza invece considerare in concreto l'effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale la convivenza costituisce solo un utile elemento probatorio».

fonte:Cassa Forense - Dat Avvocato

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