Il genitore che si sia fatto carico integralmente delle spese necessarie per il mantenimento dei figli, anche quindi per la quota facente carico all'altro coniuge, è legittimato ad agire in giudizio per ottenere da quest'ultimo il rimborso pro quota delle spese, rapportato alle rispettive sostanze patrimoniali disponibili e alla capacità di lavoro professionale di ciascuno dei genitori. Per la quantificazione di tale rimborso, che ha natura indennitaria, si può procedere attraverso una liquidazione in via equitativa, tenendo conto delle differenti esigenze dei figli in relazione ai diversi periodi della vita sino al raggiungimento dell'autosufficienza economica. Questo è quanto emerge dalla sentenza del Tribunale di Reggio Emilia 177/2018.
La vicenda - La controversia prende le mosse dalla richiesta di accertamento giudiziale della paternità presentata da una donna di 32 anni nei confronti del suo padre naturale, il quale aveva interrotto la relazione con la madre di lei subito dopo la nascita, non avendo poi mai instaurato alcun rapporto con la figlia, né tantomeno contribuito alla sua crescita attraverso contributi economici. Successivamente, interveniva in giudizio anche la madre della ragazza, la quale chiedeva la condanna del suo ex partner al rimborso pro quota delle spese sostenute per il mantenimento della figlia. L'uomo convenuto in giudizio non contestava la sua qualità di padre, sicché il giudizio si concentrava esclusivamente sulle questioni risarcitorie della vicenda.
Il risarcimento del danno nei confronti della figlia - Quanto alla posizione nei confronti della figlia, la quale chiedeva un risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per via della totale assenza del padre dalla sua vita, il Tribunale afferma la responsabilità dell'uomo, il quale pur sapendo di essere genitore, e dunque pienamente consapevole di avere dei precisi doveri nei confronti della figlia, aveva deciso di sottrarsi ai suoi obblighi. Ciò posto, il Collegio esclude il danno patrimoniale, prospettato dalla donna nella somma consistente nella perdita del maggior reddito di cui essa avrebbe potuto giovarsi, ma riconosce pienamente il danno non patrimoniale. Per il Tribunale, infatti, il caso di specie è pienamente riconducibile nella figura del c.d. illecito endofamiliare, che «si verifica quando dalla violazione di obblighi di natura familiare derivino danni alla personalità di un componente della famiglia». I giudici ricordano come il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, integrando tale condotta gli estremi dell'illecito civile e legittimando l'esercizio, ai sensi dell'articolo 2059 c.c., di un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole, «ricollegabili agli effetti dell'assenza paterna anche sul quadro affettivo e sociale».
Il rimborso delle spese sostenute dalla madre - Quanto alla posizione dell'uomo nei confronti della madre, la quale chiedeva la restituzione di parte della spesa sostenuta per la crescita della figlia, il Tribunale, conformemente all'orientamento consolidato in giurisprudenza, accoglie la domanda spiegando che il coniuge che «abbia integralmente adempiuto l'obbligo di mantenimento dei figli, pure per la quota facente carico all'altro coniuge, è legittimato ad agire iure proprio nei confronti di quest'ultimo per il rimborso di detta quota», essendo ravvisabile un caso di gestione di affari. In sostanza, il genitore che ha assunto per intero l'onere del mantenimento ha diritto di regresso per la corrispondente quota, ovvero ha il diritto ad ottenere dall'altro genitore un rimborso che ha natura in senso lato indennitaria, diretta cioè «ad indennizzare il genitore che ha riconosciuto il figlio per gli esborsi sostenuti da solo per il mantenimento della prole».
L'aspetto più rilevante della decisione riguarda però la quantificazione del rimborso, liquidato dai giudici all'esito di una minuziosa operazione di ricostruzione e diversificazione per fasce di età dei bisogni della figlia nell'arco temporale di riferimento, che va dalla nascita sino al momento dell'autosufficienza economica: 250 euro mensili per il periodo della prima infanzia; 350 euro mensili per il periodo dall'adolescenza all'epoca successiva alla fine del percorso di istruzione superiore; 500 euro mensili per il periodo del percorso di studi universitari. La somma così determinata poi, concludono i giudici, non dovrebbe essere divisa a metà, ma «si dovrebbe tenere conto del duplice criterio delle rispettive sostanze patrimoniali disponibili e della capacità di lavoro professionale o casalingo di ciascuno dei genitori».
fonte: Cassa Forense - Dat Avvocato
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venerdì 3 agosto 2018
Obbligo di mantenimento dei figli, il genitore può chiedere il rimborso della quota all'altro genitore
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