mercoledì 18 luglio 2018

Niente mantenimento se i figli maggiorenni sono autonomi

Non ha più diritto all'assegno di mantenimento una figlia di 28 anni, laureata da quattro e con un contratto di lavoro a tempo parziale, né il fratello che ha aperto un proprio studio professionale. Lo ha stabilito il tribunale di Padova con la sentenza del 13 giugno 2018 che ha confermato come autonomia di vita e coabitazione siano gli elementi cardine in base ai quali valutare l'obbligo di mantenere figli maggiorenni .
I giudici hanno infatti motivato la revoca dell'assegno con il fatto che entrambi i giovani sono stati infatti messi «nelle condizioni di poter coltivare le proprie inclinazioni e di conseguire l'indipendenza economica». Anche perché, altrimenti, l'obbligo dei genitori di mantenere i figli maggiorenni si protrarrebbe sine die.
Per quanto riguarda la coabitazione invece, il tribunale ha precisato che il ritorno presso la casa di uno dei due genitori solo nei fine settimana non può essere considerato “coabitazione”, poiché quest'ultima implica una stabile dimora, con solo eventuali e sporadici allontanamenti.
La sentenza in esame, nel decidere su di una domanda di separazione personale ha quindi affrontato due dei più delicati argomenti del contenzioso familiare: la cessazione dell'obbligo del mantenimento dei figli maggiorenni e la determinazione dell'assegno separativo. Per quanto riguarda i figli maggiorenni, la non coabitazione e la raggiunta autonomia di vita costituiscano quindi la chiave di volta per ottenere la “revoca” dell'assegno perequativo pagato all'altro.
La coabitazione - I giudici sottolineano, conformemente al dettato della Cassazione (sentenza. 4555/2012), come “il concetto di convivenza implica, infatti, la stabile dimora presso l'abitazione di uno dei due genitori, con eventuali e solo sporadici allontanamenti per brevi periodi e con esclusione quindi dell'ipotesi di un ritorno presso detta abitazione, solo per i fine settimana” in questo caso, dunque, non si può più considerare il figlio coabitante.
L'autonomia - La pronuncia osserva, rispetto all'autonomia della figlia “considerato che (x) ha 28 anni da ormai quattro si è laureata e non si ravvisano elementi che inducano a ritenere menomata la sua capacità lavorativa (com'è dimostrato dal contratto di lavoro seppure a tempo parziale)” si deve ritenere che sia stata posta “nelle condizioni di poter coltivare le proprie inclinazioni e di conseguire l'indipendenza economica” ed analoga considerazione deve effettuarsi per il figlio della coppia che ha aperto un proprio studio professionale, consolidando la propria capacità lavorativa. Diversamente opinando ritiene di Tribunale di Padova “l'obbligo dei genitori di mantenere i figli maggiorenni finirebbe per protrarsi sine die e per dipendere dalla realizzazione dei progetti personali che, per quanto pregevoli, non possono prescindere dalle concrete possibilità dei genitori”. Diretta conseguenza di tali valutazione è dunque la revoca dell'assegno perequativo in favore della madre ed a carico del padre, posto che, ricorda la sentenza “il fondamento del diritto del coniuge convivente con il figlio a percepire l'assegno in questione risiede, oltre che nell'elemento oggettivo della convivenza, nel dovere di assicurare una istruzione ed una formazione professionale rapportate alle capacità” dei figli. Cessata la convivenza e divenuti autonomi i figlie, vi è la conseguente revoca dell'assegnazione della casa coniugale.
L'assegno di separazione - Quanto all'esistenza del diritto all'assegno separativo in favore della moglie, osserva il Tribunale di Padova come il fatto di percepire una pensione e di contare sugli introiti di un immobile locato deve essere parametrato alla disponibilità dei redditi del marito. In merito ai quali, si è osservato come “lo stesso risulta titolare di plurimi rapporti bancari con sette diversi istituti, sia a titolo personale che in relazione alla propria società. Il convenuto afferma che per le particolari norme fiscali relative alle società di persone l'imputazione del reddito generato dalla società ai soci, quale reddito di partecipazione, sarebbe incrementato dei costi -fiscalmente non ammessi o riconosciuti – che gravano invece sul risultato economico dell'esercizio, aumentando fittiziamente il reddito generato. Ciò corrisponde al vero ma, costituisce onere della parte, fornire adeguata documentazione della contabilità societaria e delle cosiddette riprese fiscali, che avrebbero consentito di individuare la parte di reddito fittizio risultante nelle dichiarazioni ai fini fiscali.”
Lo stesso si è invece limitato a depositare dei fogli Excel definendoli bilanci omettendo per altro anche il deposito delle dichiarazioni dei redditi della società. Priva di valore è poi stata considerata la richiesta di una Ctu tesa a dimostrare l'esattezza della tesi sostenuta, osserva infatti il Collegio come “la richiesta di una consulenza tecnica di ufficio non poteva certo sopperire all'omissioni probatoria della parte: è ben vero che il giudice può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulenza deducente) ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulenza percipiente) ma, in nessun caso la consulenza può servire ad esonerare la parte dall'onere di fornire la prova” della quale la stessa ha l'obbligo. Ancora, sempre sotto il profilo della rilevanza del reddito societario ai fini della determinazione del reddito familiare, il Tribunale osserva acutamente come “lo stesso (x) ha affermato che il tenore di vita goduto dalla sig.ra (X) in costanza di matrimonio fosse stato pagato a debito dalla” società di famiglia, dunque “se allora il tenore di vita della famiglia era pagato dalla società (x) deve quindi ritenersi che oggi il tenore di vita del (marito) sia pagato dalla stessa società : ed infatti nella copiosa documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza, non si rinviene un conto personale del convenuto, sul quale siano addebitate le spese di vita quotidiana”. Anche sotto tale profilo non è stato soddisfatto il requisito della prova. Di conseguenza, rilevata l'effettiva disparità economica tra i due, si è affermato il permanere dell'obbligo al mantenimento “considerando che in sede di separazione e fino alla pronuncia di scioglimento del vincolo, permangono tra i coniugi gli obblighi di assistenza e solidarietà quantomeno materiale” con l'attribuzione di un assegno separativo in favore della moglie di € 600,00 mensili.

fonte: Cassa Forense - Dat Avvocato

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