venerdì 27 luglio 2018

Condannato per molestie l'ambulante troppo “petulante”

Rischia una condanna per molestie il venditore ambulante che cerchi di vendere il proprio prodotto in modo eccessivamente petulante «tallonando» per strada la vittima. La Corte di Cassazione, sentenza n. 35718 del 26 luglio 2018 , ha infatti respinto il ricorso di un venditore di profumi confermando la condanna alla pena di 300 euro di ammenda per il reato di molestie comminatagli dal Tribunale di Termini Imerese. L'imputato, di origine italiana, si era giustificato adducendo di essere stato mosso «esclusivamente dall'intento di promuovere ed incentivare la vendita del proprio prodotto». Secondo la ricostruzione di merito la vittima era stata avvicinata da un ambulante (non ricorrente) mentre era intenta ad effettuare un prelievo bancomat a Bagheria. L'uomo aveva cominciato a parlale del diritto a lavoro e quando la denunciante aveva accennato ad allontanarsi, aveva estratto dalla borsa un profumo tentando di convincerla ad acquistarlo. In quel frangente si era avvicinato anche il secondo ‘venditore', attuale ricorrente, che «non solo aveva serbato lo stesso contegno del socio in affari ma aveva rincorso la donna e l'aveva tallonata finché la stessa non aveva raggiunto l'autovettura con a bordo il marito che l'aspettava». Per il Tribunale dunque era da considerarsi «molesto» il contegno dei due improvvisati venditori che «agendo in perfetta coordinazione, avevano insistito in modo pressante e impertinente per vendere la propria merce, l'imputato addirittura inseguendo la persona offesa senza darle tregua e interrompendo l'azione solo dopo che la stessa si era rifugiata a bordo del veicolo».
Una lettura confermata dalla Suprema corte secondo cui la decisione impugnata ha dato conto esaustivamente del comportamento «insistente sopra ogni limite tenuto dall'imputato», evidenziando come il medesimo «non si fosse limitato a reiterare la, già rifiutata, offerta di vendita del prodotto, ma avesse rincorso e tallonato la donna fino a quando la stessa non aveva raggiunto l'autovettura del marito». Del tutto correttamente, dunque, prosegue la decisione, «ha definito il suo agire “pressante, indiscreto e impertinente”, ovverosia petulante». E proprio l'oggettivo comportamento dell'imputato, argomenta la sentenza, «rende priva di pregio la tesi difensiva che egli non s'avvedesse dell'oggettivo disturbo arrecato e della inutile petulanza del suo agire». Infatti, nella fattispecie incriminatrice in esame «la petulanza costituisce una modalità della condotta prima ancora che un atteggiamento soggettivo, sicché ove la condotta sia obiettivamente petulante (fastidiosamente insistente e invadente), è sufficiente ad integrare il reato la circostanza che l'agente sia consapevole di tale suo modo di fare, non rilevando la pulsione che lo muove». Infine, quanto alla credibilità dell'accusatrice, la Corte ha valorizzato la presenza di precedenti segnalazioni di uguale tenore.

fonte: Cassa Forense - Dat Avvocato

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