Laddove la conflittualità tra i genitori coinvolga indirettamente anche i figli «quali involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri […] che si svolgano all’interno delle mura domestiche», è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia.
Così ha affermato la Suprema Corte con la sentenza n. 18833/18, depositata il 2 maggio.
Il fatto. La Corte d’Appello di Firenze riformava parzialmente la sentenza del Tribunale dichiarando di non doversi procedere nei confronti di un’imputata per alcuni titoli di reato (ormai prescritti), mentre rideterminava la pena inflitta per il reato di maltrattamenti a danno dei due figli minori, reato commesso in concorso col convivente.
Il difensore ricorre in Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza deducendo l’insussistenza del reato di maltrattamenti. Secondo la ricostruzione dei giudici, i maltrattamenti consistevano nel costringere i figli minori a vivere in un clima di violenza e paura, nella costante tensione di dover assistere come spettatori passivi alle violente dispute tra i genitori. Facendo leva su tale premessa, il ricorso sottolinea come i figli non fossero mai stati oggetto di aggressioni o soprusi diretti, né di violenza psicologica tanto che non hanno mai manifestato alcun segno di disagio familiare.
Elementi costitutivi del delitto. Il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), sottolinea la Corte, è un «reato contro la famiglia (precisamente, contro l’assistenza familiare)» ed il suo oggetto è «costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e delle persone facenti pare della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica». Per tale ragione, la fattispecie in parola deve essere estesa fino al punto di ricomprendere tutti i soggetti che fanno parte della sfera familiare e che possono subire un pregiudizio alla propria incolumità per comportamenti maturati in tale contesto.
Deve però essere sottolineata anche l’ampia portata del termine «maltratta» utilizzato dalla legge per descrivere la condotta dell’imputato, concetto in cui rientrano non solo percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni ed umiliazioni ma anche atti di disprezzo e di offesa della dignità che sfociano in vere e proprie sofferenze morali per la persona offesa. Il reato di maltrattamenti si configura infatti pacificamente anche di fronte ad un’omissione o all’instaurazione di un certo clima di sopraffazione indistinta che si protragga nel tempo creando una sofferenza fisica o morale continuativa per la vittima.
Violenza passiva. Passando ad esaminare il caso della violenza passiva, dove i comportamenti vessatori non sono direttamente volti a danno dei figli minori ma li coinvolgono solo indirettamente «quali involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri fra i genitori che si svolgano all’interno delle mura domestiche», i giudici riconoscono un’offesa al bene della famiglia e sottolineano come sia in tal caso necessaria una prova rigorosa dell’abituale comportamento e della sua capacità lesiva.
Sul punto, la motivazione offerta dalla Corte d’Appello risulta carente avendo omesso di verificare se effettivamente il rapporto estremamente conflittuale tra i genitori avesse avuto ripercussioni sui figli, anche in virtù del fatto che i bambini non avevano manifestato alcun segno di disagio familiare. Per questi motivi, la sentenza merita l’annullamento per difetto di motivazione, sennonché, essendo nel frattempo intervenuta la prescrizione del reato, la Corte annulla senza rinvio la decisione.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Continue liti tra i genitori davanti ai figli: è maltrattamento - La Stampa
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mercoledì 9 maggio 2018
Continue liti tra i genitori davanti ai figli: è maltrattamento
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