Si è tenuta il 10 aprile l’udienza pubblica delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione chiamate a pronunciarsi sull’importante e delicata questione dell’assegno divorzile dopo la nota sentenza 11504/2017 che aveva innovato il quasi trentennale orientamento affermando che occorre svolgere un giudizio in duplice fase: in una prima fase occorre valutare se esiste sussiste un diritto all’assegno (guardando soltanto all’adeguatezza dei mezzi di sussistenza degli ex coniugi) e, in una seconda ed eventuale fase, valutare ai fini del quantum anche il tenore di vita durante la vita matrimoniale.
Vediamo, quindi, cosa è successo in udienza e quali sono state le tesi che si contrappongono in attesa della decisione delle Sezioni Unite.
Il caso. Nel caso di specie era stata impugnata una sentenza della Corte di Appello di Bologna che aveva negato il diritto all’assegno all’ex moglie in quanto disponeva di mezzi adeguati per il proprio sostentamento richiamando proprio la sentenza della Cassazione del 2017.
Certamente il caso era particolare come è emerso durante la discussione: un matrimonio celebrato nel 1978 durato 27 anni dove i due coniugi avevano svolto le loro attività professionali fino a conseguire un rispettabile patrimonio. Patrimonio costruito dai coniugi durante il matrimonio ognuno con la propria attività professionale che, al momento della separazione, ammontava a circa 7 milioni di euro e che venne diviso tra i due coniugi in parti sostanzialmente uguali.
La signora ottenne dal Tribunale di Reggio Emilia un assegno di circa 4.000 euro mensili che, però, la Corte di Appello ritenne non più dovuti con conseguente diritto dell’ex marito a ottenere la restituzione di quanto versato in forza della sentenza di primo grado.
Necessario guardare sempre al caso concreto. Ebbene, per la Procura Generale il principio affermato dalla Cassazione con la nota sentenza 11504/2017 potrebbe essere pure, in astratto, condivisibile nella parte in cui ritiene che l’autosufficienza sia uno dei parametri da esaminare.
Tuttavia «qualsiasi principio secco o rigido corre il rischio di favorire una giustizia di classe»: occorre sempre guardare – specie in questa materia caratterizzata da infinite variabili – al caso concreto.
Il giudizio deve essere unitario. Occorre guardare al caso concreto svolgendo un giudizio “unitario” sulla spettanza del diritto all’assegno. Ne deriva, la necessità di superare quella “doppia fase” ribadita dalla sentenza n. 11504/17 e consistente, cioè, nell’esaminare prima se esiste il diritto (guardando all’autosufficienza dei mezzi) e, poi, ritenuto esistente il diritto passare alla fase di quantificazione.
E in questo giudizio unitario occorre guardare a tutti i parametri previsti dall’art. 5, comma 6, della legge valorizzando il caso concreto.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Assegno di divorzio: valutare anche il tenore di vita, oltre all’autosufficienza - La Stampa
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sabato 14 aprile 2018
Assegno di divorzio:valutare anche il tenore di vita, oltre all'autosufficienza
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