Con la sentenza n. 8770 del 21/12/17 (dep. 22/2/18) le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state chiamate a dirimere il conflitto giurisprudenziale sorto all’interno della IV sezione penale in ordine alla applicazione della legge 8/3/17 n. 24 che, nell’abrogare la previgente disciplina della legge n. 189 del 2012, ha rimodulato i limiti della colpa medica a fronte del rispetto delle linee-guida dettate in materia, con conseguenze in punto di individuazione della legge più favorevole.
Il caso pratico di cui i giudici di legittimità si sono dovuti occupare - che merita di essere sia pur in estrema sintesi ricapitolato - è il seguente: il giudice di primo grado aveva condannato un neurochirurgo per i danni cagionati al paziente in seguito ad comportamento omissivo caratterizzato da negligenza, imprudenza e imperizia e consistito nel non avere effettuato tempestivamente la diagnosi della sindrome da compressione della cauda equina, con conseguente considerevole differimento nella esecuzione - avvenuta ad opera di altro medico specialista, successivamente interpellato dalla persona offesa - dell’intervento chirurgico per il quale vi era, invece, indicazione di urgenza, in base alle regole cautelari di settore.
La sentenza era stata confermata in appello.
Il Presidente del collegio della IV sezione penale, cui il ricorso della Difesa era stato assegnato, lo rimetteva al Primo Presidente, in considerazione del contrasto interno alla sezione in relazione alla applicazione della legge 8/3/17 n. 24 che, nell’abrogare la previgente disciplina della legge n. 189 del 2012, ha rimodulato i limiti della colpa medica a fronte del rispetto delle linee-guida dettate in materia, con conseguenze in punto di individuazione della legge più favorevole. Più precisamente, la questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite è la seguente: Quale sia, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni, l’ambito applicativo della previsione di "non punibilità" prevista dall’art. 590-sexies c.p., introdotta dalla legge 8 marzo 2017, n. 24.
Ebbene, la sentenza in commento preliminarmente si sofferma sulla natura, finalità e cogenza delle linee-guida, sostenendo che non vi è motivo per discostarsi dalle condivisibili conclusioni maturate in seno alla giurisprudenza delle sezioni semplici della Cassazione, secondo cui le linee-guida costituiscono un condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo un’accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti. Esse costituiscono parametri tendenzialmente circoscritti per sperimentare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza, perizia. Ed è in relazione a quegli ambiti che il medico ha la legittima aspettativa di vedere giudicato il proprio operato, piuttosto che in base ad una norma cautelare legata alla scelta soggettiva, a volte anche estemporanea e scientificamente opinabile, del giudicante. Sempre avendo chiaro che non si tratta di veri e propri precetti cautelari, capaci di generare allo stato attuale della normativa, in caso di violazione rimproverabile, colpa specifica, data la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto.
Venendo al cuore del problema, la sentenza passa in rassegna i due orientamenti maturati all’interno della IV sezione, che hanno dato luogo al contrasto: il primo è sostenuto da Cass. pen., sentenza 20/4/17 n. 28187 (P. C. Tarabori in proc. De Luca), che esclude in maniera tassativa l’interpretazione letterale della nuova fattispecie - secondo la quale il sanitario che si attiene alle linee guida accreditate, che risultino anche adeguate alla specificità del caso concreto, va esente da responsabilità - atteso che, così letta, sarebbe una norma del tutto inutile, che esprime l’ovvio. In particolare, in tale arresto - dopo la specificazione secondo la quale l’evocazione della punibilità va intesa come un atecnico riferimento al giudizio di responsabilità con riguardo alla parametrazione della colpa - si afferma che la disciplina della legge Gelli Bianco non può trovare applicazione: negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee-guida; nelle situazioni concrete nelle quali tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarità della condizione del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate; in relazione a quelle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo ovvero siano connotate da negligenza o imprudenza e non da imperizia.
Negli altri casi, secondo tale impostazione, il riferimento alle linee-guida è null’altro che il parametro per la individuazione-graduazione-esclusione della colpa secondo le regole generali, quando quella dipenda da imperizia.
Dal punto di vista del regime intertemporale, individua, poi, nel decreto Balduzzi la disciplina più favorevole.
Afferma, infine, che conserva attualità l’orientamento giurisprudenziale che accredita la possibile rilevanza, in ambito penale, dell’art. 2236 c. c., quale regola di esperienza cui attenersi nel valutare, in ambito penalistico, l’addebito di imperizia.
L’opposto orientamento trova esplicitazione in Cass. pen., sentenza 19/10/17 n. 50078 (Cavazza), che - sposando il criterio dell’interpretazione letterale della norma - afferma che la nuova legge introduce una causa di esclusione della punibilità, in quanto tale collocata al di fuori dell’area di operatività del principio di colpevolezza: secondo tale arresto, il secondo comma dell’art. 590 sexies c.p., come introdotto dalla legge Gelli-Bianco, prevede una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante - ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida accreditate o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso) - nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa (dunque, anche nelle ipotesi di colpa grave), essendo compatibile il rispetto delle linee guide e delle buone pratiche con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse.
Quanto al profilo intertemporale, ritiene che il decreto Balduzzi possa configurarsi come disposizione più favorevole solo per i reati consumatisi sotto la sua vigenza coinvolgenti profili di negligenza ed imprudenza qualificati da colpa lieve.
Affermano le Sezioni Unite che in ognuna delle due contrastanti sentenze siano espresse molteplici osservazioni condivisibili, in parte anche comuni, ma che manchi una sintesi interpretativa complessiva capace di restituire la effettiva portata della norma in considerazione.
Così, la sentenza De Luca-Tarabori ha il pregio di porre in luce gli evidenti limiti applicativi alla causa di non punibilità enunciati dall’art. 590 sexies, che non trovano applicazione nelle ipotesi di colpa per imprudenza o negligenza; né quando l’atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche; né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso. Ha, per contro, il difetto di non rinvenire alcun residuo spazio operativo per la causa di non punibilità, giungendo alla frettolosa conclusione circa l’impossibilità di applicare il precetto, negando addirittura la capacità semantica della espressione causa di non punibilità e così offrendo della norma una interpretazione abrogatrice, di fatto in collisione con il dato oggettivo della iniziativa legislativa e con la stessa intenzione innovatrice manifestata in sede parlamentare.
La sentenza Cavazza, dal canto suo, ha il pregio di non discostarsi in modo patente dalla lettera della legge, ma, per converso, nel valorizzarla in modo assoluto, cade nell’errore opposto perché attribuisce ad essa una portata applicativa impropriamente lata: quella di rendere non punibile qualsiasi condotta imperita del sanitario che abbia provocato la morte o le lesioni, pur se connotata da colpa grave. Invero, quanto al primo profilo, proprio partendo dalla interpretazione letterale, non può non riconoscersi che il legislatore abbia coniato una inedita causa di non punibilità per fatti da ritenersi inquadrabili - per la completezza dell’accertamento nel caso concreto - nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 c.p., quando l’esercente una delle professioni sanitarie abbia dato causa ad uno dei citati eventi lesivi, versando in colpa da imperizia e pur avendo individuato e adottato, nonché, fino ad un certo punto, bene attualizzato le linee-guida adeguate al caso di specie. La previsione della causa di non punibilità, secondo le Sezioni Unite, è esplicita, innegabile e dogmaticamente ammissibile non essendovi ragione per escludere apoditticamente - come fa la sentenza De Luca-Tarabori - che il legislatore, nell’ottica di porre un freno alla medicina difensiva e quindi meglio tutelare il valore costituzionale del diritto del cittadino alla salute, abbia inteso ritagliare un perimetro di comportamenti del sanitario direttamente connessi a specifiche regole di comportamento a loro volta sollecitate dalla necessità di gestione del rischio professionale: comportamenti che, pur integrando gli estremi del reato, non richiedono, nel bilanciamento degli interessi in gioco, la sanzione penale, alle condizioni date.
Semmai, è da sottolineare che era il decreto Balduzzi, non messo in discussione dalla giurisprudenza passata sotto il profilo della tecnica legislativa, ad agire sul terreno della delimitazione della colpa che dà luogo a responsabilità, circoscrivendo la operatività dei principi posti dall’art. 43 c.p. e dunque derogando ad essa, tanto che il risultato è stato ritenuto quello della parziale abolitio criminis. Viceversa, la legge Gelli-Bianco non si muove in senso derogatorio ai detti principi generali, bensì sul terreno della specificazione, ricorrendo all’inquadramento nella non punibilità, sulla base di un bilanciamento ragionevole di interessi concorrenti.
L’intervento protettivo del legislatore appare direttamente connesso con la ragione ispiratrice della novella, che è quella di contrastare la c.d. medicina difensiva e con essa il pericolo per la sicurezza delle cure e dunque creare - in relazione ad un perimetro più circoscritto di operatori ed atti sanitari che si confrontano con la necessità della gestione di un rischio del tutto peculiare in quanto collegato alla mutevolezza e unicità di ognuna delle situazioni patologiche da affrontare - un’area di non punibilità che valga a restituire al sanitario la serenità dell’affidarsi alla propria autonomia professionale e, per l’effetto, ad agevolare il perseguimento di una garanzia effettiva del diritto costituzionale alla salute.
Del resto, ritengono le Sezioni Unite che la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte del legislatore del 2017 non precluda una ricostruzione della norma che ne tenga conto, sempre che questa sia l’espressione di una ratio compatibile con l’esegesi letterale e sistematica del comando espresso. Ed in tale prospettiva appare utile giovarsi, in primo luogo, dell’indicazione proveniente dall'art. 2236 c. c., che ha la valenza di principio di razionalità e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione del genere di problemi sopra evocati ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza. Ciò che del precetto merita di essere ancor oggi valorizzato è il fatto che, attraverso di esso, già prima della formulazione della norma che ha ancorato l’esonero da responsabilità al rispetto delle linee-guida e al grado della colpa, si fosse accreditato, anche in ambito penalistico, il principio secondo cui la condotta tenuta dal terapeuta non può non essere parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiesto ed al contesto in cui esso si è svolto.
In conclusione dell’articolato percorso logico argomentativo, dunque, le Sezioni Unite hanno affermato i seguenti principi di diritto: l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.
Quanto al regime più favorevole, le Sezioni Unite - raffrontando il contenuto precettivo delle due norme (art. 3 abrogato del decreto Balduzzi e l’art. 590 sexies c.p.) - hanno dichiaratamente enucleato i casi immediatamente apprezzabili ed hanno ritenuto più favorevole la norma abrogata: 1) in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario - commessi prima della entrata in vigore della legge Gelli-Bianco - connotati da negligenza o imprudenza, con configurazione di colpa lieve; 2) nell’ambito della colpa da imperizia, in caso di errore determinato da colpa lieve, che sia caduto sul momento selettivo delle linee-guida e cioè su quello della valutazione della appropriatezza della linea-guida.
Rilevano poi che trattamento sostanzialmente analogo è invece riservato, sempre nell’ambito della colpa da imperizia, all’errore determinato da colpa lieve nella sola fase attuativa, che andava esente per il decreto Balduzzi ed è oggetto di causa di non punibilità in base all’art. 590 sexies, risultando in tale prospettiva, ininfluente, in relazione alla attività del giudice penale che si trovi a decidere nella vigenza della nuova legge su fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore, la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto liberatorio.
Fonte: Colpa medica: le Sezioni Unite indicano il perimetro applicativo della legge Gelli-Bianco | Quotidiano Giuridico
Blog di attualità e informazione giuridica - Lo Studio Legale Mancino ha sede in Ferrara, Via J. F. Kennedy, 15 - L'Avv. Emiliano Mancino è abilitato alla difesa di fronte alla Corte di Cassazione
lunedì 26 febbraio 2018
Colpa medica: le Sezioni Unite indicano il perimetro applicativo della legge Gelli-Bianco
Lo Studio Legale Mancino si occupa di tutte le fasi dell'assistenza legale in sede penale, sia per la difesa delle persone sottoposte a procedimento, sia per la tutela delle vittime di reato come parti civili. Lo Studio opera anche in tutti gli ambiti del diritto civile, dalla contrattualistica, al diritto di famiglia, separazioni e divorzi, successioni, diritti reali, assicurazioni e responsabilità civile, diritto bancario, nonché nel settore del diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali. L'Avv. Emiliano Mancino è abilitato alla difesa di fronte alla Corte di Cassazione. E' iscritto alle liste per il patrocinio a spese dello Stato. Lo Studio è a disposizione dei Colleghi che hanno necessità di collaborazione e/o di domiciliazione per tutti gli uffici giudiziari compresi nelle circoscrizioni dei Tribunali di Ferrara e Bologna.
Dal 2018 l’Avv. Emiliano Mancino aderisce al progetto Difesa Legittima Sicura, una rete di professionisti sul territorio nazionale che dà tutela legale a chiunque sia vittima di violenza.
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