giovedì 23 febbraio 2017

Povera e senza dimora: rubare alimenti non è giustificabile

Colpo non riuscito in un supermercato: prova a portare via alcuni pezzi di formaggio, ma viene beccata subito dopo aver superato le casse. Inevitabile la condanna, anche perché non regge, secondo i Giudici, la giustificazione addotta dalla donna, cioè di avere agito così perché povera (Corte di Cassazione, sentenza n. 6635/2017 depositata il 13 febbraio).
Soldi. Ricostruito nei dettagli l’episodio, non ci sono dubbi sul comportamento tenuto dalla donna, una cittadina extracomunitaria. Ella, però, ha spiegato di vivere una situazione di grande difficoltà, trovandosi in Italia senza permesso di soggiorno e senza una stabile dimora, e di avere provato a rubare il formaggio per poterlo rivendere, così da «guadagnare dei soldi per affrontare le esigenze quotidiane di vita».
Secondo i giudici, però, ci si trova di fronte a una scusante non accettabile. Ecco spiegata la condanna a 2 mesi di reclusione e 400 euro di multa.
Indigente. Ultima chance, per la donna, è il ricorso in Cassazione, finalizzato, ovviamente, a spiegare l’azione compiuta con la sua condizione di indigente.
Ma l’ipotesi dello stato di necessità viene ritenuta non plausibile. Ciò perché la donna «ben avrebbe potuto soddisfare i propri bisogni alimentari immediati rivolgendosi, ad esempio, alla ‘Caritas’», spiegano i magistrati. E su questo fronte viene aggiunto che non si può far discendere «l’impossibilità di provvedere ai bisogni della vita dalla semplice qualità di extracomunitaria priva di permesso di soggiorno e di una stabile dimora».
Peraltro, in questa vicenda è significativo il valore economico dei prodotti alimentari: 82 euro. Così come non può essere ignorato il fatto che i pezzi di formaggio non erano destinati ad essere consumati immediatamente, bensì ad essere rivenduti per procurarsi del denaro.
Inevitabile perciò la conferma definitiva della condanna nei confronti della straniera.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Povera e senza dimora: rubare alimenti non è giustificabile - La Stampa

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