martedì 14 febbraio 2017

Il genitore che intrattiene rapporti solo via skype con il figlio perde l’affidamento

I contatti giornalieri tra la madre, residente in un Paese estero, ed il figlio minorenne, tramite telefono cellulare e Skype, non sono idonei a surrogare la prolungata assenza del genitore e le visite di persona, non avvenute nemmeno in occasione di tre incontri all’anno disposti dal C.T.U. (Consulente Tecnico d’Ufficio); ne consegue che il figlio debba essere affidato in via esclusiva al padre, dal momento che, affinché sia disposto l’affidamento condiviso, ciascun genitore deve svolgere in modo adeguato il proprio ruolo, educativo ed affettivo.
Il caso concreto
La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione si è occupata di un caso di affidamento del figlio minore ai genitori separati e dei rapporti intercorrenti tra il figlio ed uno di essi (la madre), residente in un Paese diverso da quello di residenza del figlio.
Il marito (e padre del minore) aveva chiesto al Tribunale di Udine di pronunciare la propria separazione personale dalla moglie (e madre del minore), con addebito a carico di quest’ultima, a causa di presunte relazioni extraconiugali avute dalla donna, nonché, aveva chiesto fosse disposto l’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, con collocazione presso la madre.
Il giudice di prime cure, dichiarando la separazione dei coniugi, aveva però rigettato la domanda di addebito a carico della donna e disposto l’affidamento del minore ad entrambi i genitori, con collocazione presso il padre.
Impugnata la sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Trieste, tra l’altro, dopo aver confermato la separazione dei coniugi, con addebito a carico della donna a causa di almeno due relazioni extraconiugali da essa intrattenute durante il matrimonio, aveva invece disposto l’affidamento del figlio in via esclusiva al padre, siccome la madre risiedeva in un Paese estero, era lontana, non voleva tornare in Italia e non vi era nemmeno tornata per incontrare il figlio in occasione di tre incontri fissati dal C.T.U. (Consulente Tecnico d’Ufficio). Secondo l’Autorità giudiziaria, visto il disinteresse manifestato dalla donna, non sarebbe stato corretto consentire a quest’ultima di condividere le decisioni di maggiore importanza attinenti la sfera personale e patrimoniale del figlio, tenuto conto che, tra la mamma ed il figlio, erano assenti rapporti di ogni genere, ad eccezione di contatti giornalieri intrattenuti con il telefono cellulare e tramite Skype.
La Suprema Corte, chiamata a decidere a seguito del ricorso proposto dalla madre avverso la sentenza del giudice triestino, nel quale Ella aveva evidenziato che la distanza fisica non poteva essere intesa come un suo disinteresse verso il figlio minore, rigettando il ricorso della donna, argomenta la propria decisione ponendo l’accento sul contenuto dell’articolo 155 bis, comma 1, c.c., secondo il quale, il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore e, in effetti, nel caso di specie, era emerso che per più di un anno (dall’estate dell’anno 2012 alla fine dell’anno 2013), la madre non era mai tornata in Italia per incontrare il minore, nemmeno in occasione di tre incontri disposti dal C.T.U..
Richiamando un proprio orientamento (Cass. 2 dicembre 2010, n. 24526; Cass. 17 dicembre 2009, n. 26587; Cass. 18 giugno 2008, n. 16593), la Suprema Corte osserva come la regola dell'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, prevista dall’art. 155 cod.civ., con riferimento alla separazione personale dei coniugi, è derogabile solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l'interesse del minore. E il pregiudizio si ravvisa, tra l’altro, quando il diritto di visita viene esercitato in modo discontinuo (Trib. Caltanissetta 30 dicembre 2015; Trib. Modena 2 marzo 2015; App. Roma 15 ottobre 2013; Trib. Bari 17 novembre 2011; Trib. Monza 11 aprile 2011; Cass. 17 dicembre 2009, n. 26587).
Nel caso di specie, dunque, l'assenza di incontri tra la madre e il figlio avevano rappresentato indice del disinteresse del genitore nei confronti del minore e rappresentavano tuttora presupposto idoneo per confermare l’affidamento esclusivo in capo al solo padre.
L’affidamento del minore (condiviso ed esclusivo)
Nel momento in cui una coppia entra in crisi e cessa la convivenza, ove vi siano figli minori, occorre adottare provvedimenti che consentano di proteggere la prole, tenuto conto che l’intenzione del legislatore costituzionale è quella di tutelare i figli in quanto tali, anche se nati fuori dal matrimonio; l’articolo 30 della Costituzione (e il principio è ribadito nell’articolo 315 bis cod.civ.), infatti, stabilisce che i genitori debbano «mantenere, istruire ed educare i figli» e tale regola vale sempre, a prescindere dalla cessazione del rapporto di convivenza tra i genitori e a prescindere dalla crisi della coppia. Si intende evitare che la separazione dei genitori possa avere ricadute negative sulla prole minorenne e, proprio per questo motivo, restano immutati i diritti del minore, anche se cambiano i criteri per darvi attuazione.
La sentenza in esame richiama gli articoli 155 bis e seguenti del Codice civile dal momento che si riferisce ad una vicenda da collocare cronologicamente nell’anno 2009, vale a dire mentre erano in vigore gli artt. 155 bis a 155 sexies c.c., inseriti nel Codice civile dall’articolo 1, L. 8 febbraio 2006, n. 54, e successivamente abrogati dall’art. 106, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ma questa disciplina risulta tuttora attuale in quanto il contenuto delle norme abrogate è stato riproposto, con talune modifiche, negli articoli da 337 bis e seguenti del Codice civile, i quali si riferiscono alla c.d. “responsabilità genitoriale” (a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili del matrimonio), in luogo della “potestà genitoriale”.
Ebbene, anche se è mutata la collocazione delle norme nel Codice civile, non è mutata la sostanza e non sono mutati gli interessi che il legislatore intende perseguire per fornire protezione ai figli che si trovino coinvolti nella separazione dei genitori, tanto che è espressamente previsto che il «figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno [dei genitori], di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» (art. 337 ter, primo comma, con piccole modifiche, già art. 155, comma 1, c.c.).
L’interesse primario è dunque quello di tutelare la prole minorenne coinvolta nella vicenda patologica della separazione dei genitori, al fine di garantire la conservazione delle condizioni materiali e morali (vale a dire le situazioni economiche ed affettive) anteriori alla separazione. Il legislatore ha quindi disposto che debba essere preferita la «bigenitorialità» (App. Napoli 6 luglio 2016; App. Roma 11 luglio 2007), riconosciuta come un diritto insopprimibile, non solo dei figli minori, ma anche dei genitori, i quali conservano un interesse diretto a mantenere un rapporto costante con i figli, alle cui scelte di vita essi devono partecipare in modo significativo e in modo analogo rispetto a quando la coppia era unita (Trib. Bari 13 settembre 2006).
Proprio per questo motivo, al fine di assicurare il diritto del minore ad avere un rapporto costante, continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori (Trib. Napoli 22 gennaio 2007), anche una volta sopraggiunta la crisi coniugale (Trib. Catania 2 ottobre 2007), nel momento in cui il giudice valuta le circostanze concrete, deve preferire la misura dell’affidamento condiviso, il quale presuppone un comune impegno progettuale dei genitori in ordine alle scelte relative alla vita della prole, nonché alla cura della stessa nell'ambito dei vari incombenti della vita quotidiana () e rappresenta la regola (Cass. 8 febbraio 2012, n. 1777; App. Roma 14 novembre 2007; Trib. Catania 2 ottobre 2007; Trib. Campobasso 20 agosto 2007; App. Roma 11 luglio 2007; App. Roma 9 maggio 2007; App. Roma 4 aprile 2007; Trib. Napoli 22 gennaio 2007; Trib. Firenze 13 dicembre 2006; Trib. Bari 13 settembre 2006; Trib. Bologna 10 aprile 2006).
Quest’ultima regola è però derogabile e il giudice deve invece disporre la misura residuale dell’affidamento esclusivo a favore di un solo genitore, con provvedimento motivato (Cass. 8 febbraio 2012, n. 1777; Cass. 2 dicembre 2010, n. 24526; Cass. 17 dicembre 2009, n. 26587; Cass. 18 giugno 2008, n. 16593; App. Roma 11 luglio 2007; App. Roma 9 maggio 2007; App. Roma, 4 aprile 2007), ove l’affidamento condiviso risulti pregiudizievole per l’interesse del minore (articolo 337 quater, comma 1, c.c., già art. 155 bis, comma 1, c.c.), principio peraltro già espresso in diverse occasioni dalla giurisprudenza (Trib. Salerno 22 giugno 2016; Trib. Treviso 29 gennaio 2016; Cass. 11 settembre 2014, n. 19181; Cass. 2 dicembre 2010, n. 24526; Cass. 17 dicembre 2009, n. 26587; Cass. 18 giugno 2008, n. 16593¸ App. Roma 14 novembre 2007).
Si è peraltro osservato che ricorre un pregiudizio per il minore, tra l’altro, nel caso in cui il genitore violi o eserciti con discontinuità il diritto di visita (Trib. Caltanissetta 30 dicembre 2015; Trib. Modena 2 marzo 2015; App. Roma 15 ottobre 2013; Trib. Bari 17 novembre 2011; Trib. Monza 11 aprile 2011; Cass. 17 dicembre 2009, n. 26587) e, nel caso concreto, l’assenza di incontri personali tra la madre ed il figlio rappresentava proprio indice del disinteresse del genitore, non potendosi considerare i contatti giornalieri, tramite telefono cellulare e Skype, idonei a surrogare le visite del genitore assente. Secondo i giudici, l’atteggiamento della madre era quindi idoneo a giustificare l’affidamento esclusivo presso il padre, siccome la finalità dell’affidamento condiviso è quella di permettere ad entrambi i genitori di esercitare la responsabilità genitoriale (già potestà genitoriale) e, quindi, di prendere le decisioni di maggior interesse per la vita del figlio (Trib. Bologna 10 aprile 2006), ma ove un genitore dimostri disinteresse verso il figlio, viene meno il presupposto che giustifica la misura, volta a soddisfare le oggettive, fondamentali, imprescindibili esigenze della prole minorenne, di cura, mantenimento, educazione, istruzione, assistenza morale e della sua sana ed equilibrata crescita psicologica, morale e materiale (Cass. 22 settembre 2016, n. 18559).
Infine, occorre osservare che la giurisprudenza, in altre occasioni, ha affermato che l'affidamento esclusivo del figlio trova giustificazione anche nella grande distanza esistente tra il luogo di residenza del minore e quello del genitore non collocatario, distanza che renderebbe, di fatto, privo di significato un provvedimento di affidamento congiunto (Trib. Catanzaro 26 ottobre 2010; App. Roma 18 aprile 2007; Trib. Minorenni Emilia-Romagna 6 febbraio 2007; App. Bologna 28 dicembre 2006. Contra: Cass., 2 dicembre 2010, n. 24526; Trib. Messina, 12 ottobre 2010; nel senso che la lontananza di per sè non preclude l'affidamento condiviso, bensì, può incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore).

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