sabato 22 ottobre 2016

Coppie di fatto e contratti di convivenza, tutte le novità

La legge del 20 maggio 2016 n.76 (che ha istituito le Unioni Civili e che ha disciplinato i diritti e doveri delle coppie di fatto introducendo anche i contratti di convivenza) è stata la maggior innovazione nella storia del diritto di famiglia italiano degli ultimi 20 anni.
Si tratta di una legge costituita da un solo articolo e 69 commi. Dal comma 36 al 49 e il comma 65 riguardano i rapporti di convivenza mentre dal comma 50 al comma 64 viene disciplinato il contratto di convivenza.
La definizione della coppia di fatto è espressa con chiarezza dal comma 36: “Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.
Per la sua costituzione dovrebbe quindi essere necessaria la sola convivenza stabile nonché, per il solo accertamento, l’iscrizione nell’anagrafe del comune di residenza (co.37).
Tuttavia, nella recente prassi dei maggiori Comuni italiani consultabili via web (Milano, Torino, Napoli, Venezia, Genova, Vicenza, Modena,Reggio Emilia, Venezia), in linea con la circolare n.7/2016 del Ministero dell’Interno (L’iscrizione delle convivenze di fatto dovrà essere eseguita secondo le procedure già previste e disciplinate dall’ordinamento anagrafico ed, in particolare, dagli artt. 4 e 13, D.P.R. n. 223/1989, come espressamente richiamati dal comma 37 dell’art. 1 della legge n. 76/2016), a chi desidera rientrare nei benefici normativi dei «conviventi di fatto» viene imposta la compilazione e sottoscrizione di un modulo prestampato da consegnare all’ufficio per la registrazione. A questa stregua, non dovrebbero essere quindi conviventi di fatto tutte le coppie che possiedono i requisiti indicati nel comma 36 (coabitazione e legame affettivo) ma solo quelle che, tra queste coppie, abbiano dichiarato espressamente all’autorità amministrativa di voler essere considerati come tali.
Dal punto di vista ontologico questa scelta amministrativa agevola le coppie di fatto che, pur ponendo in essere rapporti personali analoghi a quelli esistenti nel matrimonio, non abbiano manifestato alcuna volontà di formalizzarli o di disciplinarli.
Per concludere sul punto si ritiene comunque che la scelta amministrativa dei comuni (di imporre la registrazione della coppia al momento della comunicazione di residenza) non regga al contesto giudiziario dove il convivente può provare l’esistenza della coppia di fatto attraverso la prova documentale (al di là del certificato di residenza) e quella testimoniale.
Disamina delle principali innovazioni
Innanzitutto nessuno status consegue la costituzione della coppia di fatto.
Lo scioglimento della coppia di fatto non pare vincolato a particolari formalità, mentre certamente interessante è il comma 65 che disciplina l’eventualità che uno dei due conviventi, al momento della rottura della coppia di fatto, chiede all’altro di poter beneficiare di un contributo alimentare qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Il convivente onerato ha la precedenza rispetto ai fratelli e alle sorelle nell’elenco di cui all’articolo 433 del codice civile (quindi dopo coniuge, figli, genitori, generi, nuore e suoceri!). Naturalmente gli alimenti vengono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e in misura certamente differente dal tenore di vita che aveva condotto la coppia nel periodo di convivenza e rapportato invece alle principali esigenze di vita proprie dell’istituto degli alimenti (art.438 cc: “Non devono … superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale”).
Rispetto ai diritti e doveri delle coppie di fatto si prospettano due scenari.
Il primo riguarda il caso delle coppie di fatto che non abbiano sottoscritto il contratto di convivenza e il secondo riguarda le coppie di fatto che abbiano anche sottoscritto un contratto di convivenza. Comune a tutte le coppie di fatto sono i diritti che la legge attribuisce ai conviventi a prescindere da ogni pattuizione.
Il comma 38 estende al convivente i diritti spettanti al coniuge previsti dall’ordinamento penitenziario. Il riferimento è alla legge numero 354/1975 e al relativo regolamento di esecuzione d.p.r. 230/2000. Per la verità l’ordinamento penitenziario parifica già ad oggi a diversi effetti i diritti del convivente a quelli del coniuge. Così ad esempio per quanto riguarda i colloqui o la corrispondenza e così via.
Il comma 40 disciplina la rappresentanza del convivente in caso di malattia o morte dell’altro. In caso di malattia all’altro convivente spettano le decisioni in materia di salute mentre in caso di morte decide sulle donazioni di organi, sulle modalità di trattamento del corpo e sulle celebrazioni funerarie. Il comma 41 precisa come la procura sostanziale debba essere redatta per iscritto e autografata oppure, in caso di impossibilità a redigerla, debba essere conferita alla presenza di un testimone.
Il comma 45 estende ai conviventi il titolo nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare.
Il comma 46 estende al convivente che presta stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa familiare la partecipazione agli utili e ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, introducendo nel testo codicistico l’articolo 230 ter rubricato “Diritti del convivente”.
L’articolo 47 estende la possibilità al convivente di formulare istanza di interdizione e il comma 48 prevede la possibilità che il convivente possa essere nominato tutore curatore o amministratore di sostegno dell’altro convivente dichiarato interdetto, inabilitato o che abbia il beneficio dell’amministrazione di sostegno.
L’ultimo diritto espresso dalla nuova normativa riguarda il risarcimento del danno parentale per morte del convivente con fatto del terzo (co.49).
Il destino della casa familiare merita un approfondimento.
Il comma 42 schematizza varie eventualità successive alla morte del convivente proprietario dell’abitazione comune. Si tratta di una sorta di diritto di abitazione assimilabile all’assegnazione del coniuge, che tuttavia ha un tempo determinato e variabile in funzione della durata della convivenza e della presenza o meno di figli del convivente superstite.
Il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitare nella casa familiare (a) per due anni se la convivenza è durata meno; (b) se la convivenza è durata più di due anni il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitare la casa per non più di cinque anni; (c) ove il convivente superstite abbia figli minori o disabili ha diritto di continuare ad abitare nella stessa casa per un periodo non inferiore a tre anni.
A norma del comma 43 il convivente superstite decade dal beneficio qualora cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.
Nel caso in cui il convivente deceduto fosse invece conduttore di un contratto di locazione il convivente superstite ha facoltà di succedergli nel contratto.
Vale in merito accennare ad una recente Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 28 luglio 2016 numero 64/E che estende al convivente more uxorio non proprietario dell’immobile la possibilità di fruire della detrazione per le spese sostenute per gli interventi effettuati su una delle abitazioni nelle quali si esplica il rapporto di convivenza.
Per rimanere in tema di casa familiare il comma 61 prevede che, laddove sia stato stipulato un contratto di convivenza e la casa sia del recedente, l’altro convivente debba avere un termine di almeno 90 giorni per poterla liberare.
Esaurito il tema dell’abitazione comune vale passare al contratto di convivenza che disciplina i rapporti patrimoniali della vita comune come previsto al comma 50.
Diversamente dai dritti ex lege di cui abbiamo trattato, il contratto di convivenza attribuisce diritti convenzionali, scaturenti da un negozio giuridico.
Il comma 51 indica quali siano le formalità necessarie alla costituzione o alla modifica del contratto di convivenza, prevedendo la necessità di predisporre un atto pubblico o una scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato che, a norma del successivo comma 52, i professionisti hanno l’obbligo di trasmettere entro 10 giorni al comune di residenza per l’iscrizione all’anagrafe.
Il comma 53 precisa che i contenuti minimi del contratto di convivenza debbano riguardare (a) l’indicazione della residenza; (b) le modalità di contribuzione alla vita in comune in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; (c) ed infine il regime patrimoniale della comunione dei beni; regime patrimoniale che a norma del comma 54 può essere modificato in qualunque momento nel rispetto delle formalità osservate per la stipulazione del contratto di convivenza. Comunione che segue le sorti del contratto di convivenza e che quindi si scioglierà con la risoluzione dello stesso e che darà luogo alle eventuali divisioni dei beni comuni.
Il comma 56 precisa come non possano essere apposti termini e condizioni al contratto di convivenza e che laddove fossero convenuti saranno considerati come per non apposti.
Il comma 57 prevede la nullità insanabile del contratto di convivenza se stipulato (a) in presenza di un vincolo matrimoniale, (b) di una unione civile, o (c) di un altro contratto di convivenza, o se (d) stipulato in violazione del comma 36, o (e) se concluso da una persona di età minore o (f) da persona interdetta giudizialmente o infine (g) nel caso in cui un convivente sia stato condannato per omicidio consumato tentato sul coniuge, sull’unito civile o convivente dell’altro.
Interessante la disciplina sulla risoluzione del contratto di convivenza che prevede varie eventualità. La prima è la risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti che deve rispettare le medesime formalità adottate per la stipula del contratto.
La seconda è l’eventualità del recesso unilaterale che impone al professionista la comunicazione al Comune nonché la notificazione all’altro convivente (è in questa fase che interviene il termine di 90 giorni concesso al convivente per lasciare l’abitazione di proprietà del recedente).
Nel caso di morte di uno di uno dei due conviventi spetterà il superstite e agli eredi notificare l’atto di morte al professionista che provvederà alla annotazione sul contratto e la notifica all’anagrafe.
In caso di matrimonio o Unione civile il comma 62 prevede l’obbligo di notifica dell’estratto dell’atto di matrimonio all’altra parte e al professionista.
Non resta a questo punto che attendere prime decisioni giurisprudenziali.

Fonte: www.lastampa.it/Coppie di fatto e contratti di convivenza, tutte le novità - La Stampa

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