martedì 16 agosto 2016

Tfr, se l’impresa è insolvente lo paga l’Inps

Nel caso in cui il datore di lavoro sia insolvente e non soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il lavoratore potrà ottenere la liquidazione del Tfr, dal Fondo di garanzia dell’Inps. Presupposti perché ciò sia possibile sono: l'esistenza e la consistenza del credito risultante da un titolo, anche giudiziale e l'insufficienza del patrimonio ereditario. E’ quanto disposto dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 8072/16, del 21 aprile 2016.
Nella vicenda in oggetto, alcune dipendenti di una Sas, avevano convenuto in giudizio, il Fondo di garanzia dell'Inps chiedendone la condanna al pagamento, in favore di ognuna, del trattamento di fine rapporto e delle ultime tre mensilità di retribuzione a loro dovute per via della cessazione del rapporto di lavoro e dell'inadempimento di tali obbligazioni da parte della società datrice di lavoro.
Il ricorso proposto, è stato respinto e la sentenza appellata dalle ricorrenti.
La Corte d'appello ha rigettato l'impugnazione ritenendo, con riferimento al trattamento di fine rapporto, non sussistenti i presupposti previsti dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 2, per il riconoscimento del relativo diritto.
Avverso tale pronuncia, le lavoratrici hanno proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso limitatamente ai primi tre motivi, previo esame delle censure mosse. In particolare, la Cassazione ha fornito un'esatta interpretazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, che prevede: "Qualora il datore di lavoro, non soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non adempia, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono chiedere al fondo il pagamento del trattamento di fine rapporto, semprechè, a seguito dell'esperimento dell'esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti. Il fondo, ove non sussista contestazione in materia, esegue il pagamento del trattamento insoluto".
Inoltre, come confermato da recenti pronunce (v. Cass., 29 maggio 2012, n. 8529, che richiama Cass., 1 aprile 2011, n. 7585; Cass., 1 luglio 2010, n. 15662; Cass. 19 gennaio 2009, n. 1178, non massimata, e Cass., 27 marzo 2007, n. 7466), secondo l’ interpretazione fornita nel senso indicato dalla direttiva CE n. 987 del 1980, la Corte di legittimità ha ritenuto possibile  l'ingresso ad un'azione nei confronti del Fondo di garanzia quando l'imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l'esecuzione forzata si riveli infruttuosa. L'espressione "non soggetto alle disposizioni del R.D. n. 267 del 1942" va quindi interpretata nel senso che l'azione della citata L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo.
Nel caso in esame,  la procedura fallimentare era stata chiusa per insufficienza dell'attivo ed in cui il credito non era stato accertato in sede fallimentare per essere stata dichiarata improseguibile l'opposizione proposta dal creditore, L. Fall., ex art. 98, avverso il provvedimento con cui era stata rigettata la sua domanda di ammissione al passivo.
L'interpretazione data alla norma dalla Cassazione, deriva dalla facoltà, indicata dalla direttiva comunitaria ai legislatori nazionali, di assicurare la tutela dei lavoratori anche nei casi di insolvenza accertati con modalità e in sedi diverse da quelle tipiche delle procedure concorsuali. Tale interpretazione assicura una copertura assicurativa al lavoratore qualora non sia stato possibile accertare il credito in sede fallimentare per la chiusura anticipata del fallimento.
Inoltre, l’esigenza di tutelare il lavoratore, si concilia con la finalità del legislatore del 1982, che, mediante l'istituzione di un Fondo di garanzia dell’Inps, ha inteso compensare la peculiarità della disciplina del t.f.r. - in cui il sistema degli accantonamenti fa sì che gli importi del lavoratore vengano trattenuti e utilizzati dal datore di lavoro - con la previsione di una tutela certa del credito, realizzata attraverso modalità garantistiche e non soggetta alle limitazioni e difficoltà procedurali previste, invece, per la tutela delle ultime retribuzioni (ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1992).
Dunque, Il lavoratore potrà attivarsi per come previsto dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, dimostrando di avere esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione e, nel caso in cui sussista la possibilità di altre azioni esecutive, di avere esperito tutte quelle che, secondo l'ordinaria diligenza, si prospettino fruttuose. Pertanto, ai fini della tutela prevista dalla L. n. 297 del 1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, nel caso in cui l'accertamento del credito in sede fallimentare sia stato impedito a causa della chiusura anticipata della procedura per insufficienza dell'attivo, il credito stesso può essere accertato anche in sede diversa da quella fallimentare e il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l'Inps alle condizioni previste dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, essendo sufficiente, in particolare, che egli abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione - salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l'azione esecutiva - sempre che l'esperimento dell'esecuzione forzata non ecceda i limiti dell'ordinaria diligenza ovvero che la mancanza o l'insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore non debbano ritenersi provate in relazione alle particolari circostanze del caso concreto (Cass., 8529/2012, cit.).
Ciò riguarda anche il caso del datore di lavoro non soggetto all'applicazione della legge fallimentare.
Nella vicenda in oggetto, i crediti vantati sono stati accertati in sede giudiziale attraverso la concessione dei decreti ingiuntivi non opposti, e la società datrice di lavoro, in quanto iscritta tra le imprese artigiane, non era soggetta alle procedure fallimentari.
Dalla documentazione prodotta in giudizio, risultava che i beni caduti in successione, sia quelli personali dell'unico socio accomandatario sia quelli della società, erano costituiti solo da beni mobili valutati poco più di tremila euro, e che, a causa dell'incapienza dell'attivo e dell'eccessiva onerosità di una procedura di liquidazione a fronte di tale attivo, la stessa curatrice aveva invitato tutti i creditori della società ad "una rinuncia espressa ed irrevocabile dei loro crediti, possibilmente nel minor tempo possibile".
Inoltre, la dichiarazione del curatore di non poter procedere alla liquidazione concorsuale dei creditori ereditari per mancanza di liquidità e per la sua eccessiva onerosità integra l'ulteriore presupposto previsto per il sorgere del diritto del lavoratore al trattamento di fine rapporto. Per contro, la tesi della Corte, fondata sulla necessità dello stato di graduazione quale unico mezzo di prova dell'insufficienza dell'eredità, è in contrasto con la giurisprudenza comunitaria ovvero, e con i principi generali di effettività, eguaglianza e non discriminazione, rispetto all'analoga posizione dei lavoratori in caso di chiusura del fallimento senza l'esaurimento della fase di verifica del passivo.
Per tali motivi,  la sentenza è stata cassata con l'affermazione del seguente principio di diritto: " In caso di insolvenza del datore di lavoro non soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, qualora il lavoratore agisca, ai sensi della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, nei confronti del fondo di garanzia per ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto gravante sull'eredità giacente, presupposto per l'obbligo di intervento del fondo sono a) l'esistenza e la consistenza del credito risultante da un titolo anche giudiziale, che il lavoratore ha l'onere di precostituire, e b) l'insufficienza del patrimonio ereditario, che può considerasi provata, oltre che con l'esperimento infruttuoso dell'esecuzione o con lo stato di graduazione dei crediti predisposto dal curatore dell'eredità giacente, anche con la dichiarazione del curatore dell'insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore e dell'impossibilità di procedere alla liquidazione concorsuale per incapienza dell'attivo".

Fonte: www.altalex.com//Tfr, se l’impresa è insolvente lo paga l’Inps | Altalex

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