martedì 10 novembre 2015

Separazione e divorzio breve: le nuove norme di semplificazione

Il D.L. 12 settembre 2014 n. 132, convertito in L. 10 novembre 2014 n. 162, recante “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”, ha introdotto due nuove modalità per addivenire alla separazione personale, alla cessazione degli effetti civili del matrimonio o allo scioglimento del vincolo, piuttosto che alla modifica di precedenti provvedimenti e/o accordi a definizione dei procedimenti di separazione e divorzio.

La ratio dell’intervento normativo, dichiaratamente espressa nella sua intestazione, è rivolta alla deflazione del carico giudiziario. Le norme riguardanti le nuove e semplificate modalità di allentamento o scioglimento del vincolo matrimoniale si inseriscono, infatti, all’interno di un più ampio programma normativo rivolto alla suddetta finalità.

Il successivo intervento di cui alla Legge 6 maggio 2015 n. 55 è, invece, intitolato: “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra coniugi” e consente di pervenire allo scioglimento definitivo del vincolo in tempi assai brevi, determinando, altresì, alcune ricadute nell’ambito del regime patrimoniale tra i coniugi ed, in particolare, in quello previsto ex lege della comunione legale.

Entrambe le nuove normative sono, dunque, finalizzate alla semplificazione ed alla riduzione dei tempi procedimentali della crisi matrimoniale. Dal punto di vista prettamente sistematico, emerge immediata la divergenza nei due impianti normativi:

- nel primo caso si tratta di due sole norme aventi ad oggetto immediato l’allentamento, lo scioglimento del vincolo matrimoniale o la modifica di precedenti accordi, inserite nell’ambito di un più ampio provvedimento teso a semplificare i procedimenti e deflazionare il carico giudiziale;

- nel secondo caso il Legislatore è intervenuto esclusivamente in materia con un impianto normativo composto da tre sole norme, la seconda delle quali modifica l’art 191 c.c., relativo allo scioglimento della comunione legale.

Entrambi i suddetti interventi normativi, con diverse modalità, possono avere ricadute nel campo dell’attività notarile. Sembra, pertanto, opportuno analizzali più dettagliatamente.

1. Le semplificazioni procedimentali in tema di separazione, cessazione degli effetti civili e scioglimento del vincolo matrimoniale

Alle nuove semplificazioni si può accedere solo nei seguenti casi:

- separazione consensuale;

- divorzio in forma congiunta;

- modificazione condivisa di precedenti condizioni di separazione o divorzio.

Le modalità di semplificazione introdotte dalla nuova normativa sono due, delle quali si occupano due diverse norme del provvedimento in esame:

a) l’accordo dei coniugi assunto davanti all’Ufficiale di Stato Civile, di cui all’articolo 12 L. 162/2014;

b) la negoziazione assistita, di cui all’articolo 6 L. 162/2014.

Entrambe le suddette norme recano una modifica degli art. 49, 63 e 69 del Regolamento sull’ordinamento dello Stato civile (D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396), volto a consentire la pubblicità nei suddetti registri delle due nuove tipologie procedimentali.

a. L’accordo davanti all’Ufficiale di Stato Civile ai sensi dell’art 12 L. 162/2014

L’articolo 12 L. 162/2014 introduce la possibilità per i coniugi di allentare o sciogliere definitivamente il vincolo matrimoniale mediante un semplice accordo davanti all’Ufficiale dello Stato civile. In questo caso, per espressa definizione di legge, l’assistenza legale diviene meramente facoltativa.

Ci sarebbe da chiedersi se l’accordo rappresenta un nuovo istituto (così la Circolare del Ministero dell’Interno n. 19/2014 del 28 novembre 2014), uguale e contrario al matrimonio, che differisce da quest’ultimo per l’assenza di una puntale fase preparatoria e per la mancanza di testimoni. Quasi a voler ritenere che, mentre l’apprestarsi al vincolo va meditato adeguatamente e debitamente testimoniato, di minor rilievo sono l’allentamento o lo scioglimento del medesimo.

La competenza è dell’Ufficiale dello Stato civile del luogo ove è residente almeno uno dei coniugi oppure, alternativamente, del luogo dove il matrimonio è stato trascritto (la prima stesura indicava solo il Sindaco, la Legge di conversione pare aver ampliato la competenza, riferendosi al “Sindaco, quale Ufficiale di stato civile”, rendendo competenti anche i dirigenti sottoposti al primo).

L’accordo tiene luogo dei rispettivi provvedimenti risolutivi della crisi matrimoniale, come precisato dal 4° comma della norma in commento.

Due le condizioni per poter accedere a questo procedimento iper-semplificato:

a) l’assenza di figli minori o incapaci oppure maggiorenni non economicamente autosufficienti;

b) la mancanza di “patti di trasferimento patrimoniale”;

condizioni che, peraltro, devono risultare espressamente dal testo dell’accordo, con la forma della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ex art 46 DPR 445/2000.

Nell’ampia formulazione preclusiva si ritiene debba essere inclusa “qualunque clausola avente carattere dispositivo sul piano patrimoniale”, e quindi accordi relativi a:

- assegni alimentari e/o di mantenimento (come noto l’obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia non viene meno nella crisi coniugale, tramutandosi in obbligo di corresponsione di un assegno periodico da parte del coniuge più ed in favore di quello meno abbiente, purchè ne sussistano le condizioni. L’assegno dovuto in caso di separazione ha natura perequativa e di adeguamento rispetto ad una fase transitoria e deve essere versato in caso di bisogno ed in mancanza di addebito. L’assegno divorzile, in seguito alla riforma del 1987, acquista natura prettamente assistenziale, essendo rivolto a consentire al coniuge meno abbiente di non dover modificare le sue abitudini di vita in seguito allo scioglimento del vincolo);

- diritto d’abitazione, uso o trasferimento della casa coniugale;

- qualsiasi utilità patrimoniale comprensibile in un più ampio disegno volto a sistemare la situazione patrimoniale tra i due coniugi.

Si potrebbe, poi, prospettare il caso limite in cui i coniugi abbiano proceduto alla separazione con dichiarazione resa dinnanzi all’Ufficiale di Stato civile, dichiarando l’assenza di trasferimenti patrimoniali tra loro e poi volessero, invece, procedervi rispetto ad entità patrimoniali delle quali non avevano tenuto inizialmente conto. Si può discutere circa la modificabilità in questo caso dell’accordo reso, in quanto la modifica comporterebbe quanto meno la necessità di una negoziazione assistita, come in seguito esaminata. Sicuramente la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, richiesta per detto contenuto, sarebbe passibile di essere invalidata per mendacio, con tutte le conseguenze del caso (art. 76 D.P.R. 445/2000).

In sede di conversione, il Legislatore ha ritenuto di dover attribuire ai coniugi un “diritto al ripensamento”, accordando un idoneo spatium deliberandi di trenta giorni, prima dei quali l’accordo non esplica i propri effetti.

L’Ufficiale di Stato civile redige, quindi, l’atto contente le dichiarazioni dei coniugi, dando contezza in esso anche dell’invito a ricomparire nel predetto termine per confermare l’accordo.

Un problema di non semplice soluzione potrebbe verificarsi qualora i coniugi non si ripresentassero al suddetto appuntamento.

Il Ministero dell’Interno consiglia, anche in tale circostanza, l’annotazione dell’accordo all’atto di matrimonio con l’indicazione della mancata conferma.

Si ritiene, tuttavia, che siffatta forma di pubblicità non sia idonea ad evitare situazioni di incertezza circa l’esplicazione o meno degli effetti dell’accordo inizialmente presentato, ma non confermato. Il testo normativo si riferisce, infatti, ad una “conferma”, dovendosi piuttosto ritenere che, in mancanza della stessa, i coniugi abbiano inteso retrocedere rispetto ai propri iniziali intenti. La mancata comparizione andrebbe, forse, più correttamente intesa come un silenzio rifiuto, sebbene quest’ultimo, avrebbe dovuto essere più puntualmente disciplinato da parte del Legislatore.

L’articolo 12 comma 4 L. 162/2014 stabilisce, poi, che il termine per poter accedere al divorzio decorre dall’atto contenente le dichiarazioni dei coniugi concluso davanti all’Ufficiale di Stato civile. Da sottolineare l’interazione tra le due nuove normative, in quanto in base alla nuova Legge sul c.d. “divorzio breve” il periodo suddetto è stato ridotto da tre anni ad uno o, in caso di separazione consensuale, anche a sei mesi.

b. La negoziazione assistita ai sensi dell’art 6 L.162/2014

Laddove sussista anche solo una delle condizioni preclusive a procedere con l’accordo di cui all’art 12 L. 162/2014, è consentito alle parti procedere mediante negoziazione assistita, ai sensi dell’art. 6 della normativa stessa.

In questo caso è richiesto l’intervento di almeno un avvocato per parte (la legge di conversione ha modificato in questo senso la norma, che nella prima stesura prevedeva l’assistenza di almeno un avvocato, consentendo, pertanto, che un solo legale assistesse entrambi i coniugi con potenziale - quanto meno! - conflitto d’interessi.). I legali sono obbligati, prima di procedere, ad esperire un tentativo di conciliazione (anche in questo caso si tratta di interpolazione del testo originario ad opera della Legge di conversione) e, successivamente all’assunzione dell’accordo, a trasmetterlo all’Ufficiale dello Stato Civile, che provveda alla relativa pubblicità.

Nella stesura originaria, il 2° comma della norma de qua indicava come circostanza definitivamente ostativa a procedere per questa via la presenza di figli minori o maggiorenni incapaci. In sede di conversione, invece, sono state previste due diverse modalità procedimentali:

1) nel caso in cui non vi siano minori o incapaci coinvolti, l’avvocato è tenuto a trasmettere l’accordo al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, che, in mancanza di irregolarità, rilascia nullaosta;

2) in caso di presenza di figli minori o incapaci o maggiorenni non economicamente autosufficienti, l’accordo viene, invece, trasmesso al Procuratore della Repubblica, che valuta l’interesse dell’incapace ed autorizza oppure fissa udienza di comparizione delle parti nei successivi trenta giorni.

Da notare la differenza dei provvedimenti emessi dal Procuratore: in mancanza di figli un semplice nullaosta, altrimenti un’autorizzazione, provvedimento sicuramente più pregnante, piuttosto che un controllo immediato, nel caso in cui venga fissata un’udienza di comparizione.

Anche in questo caso, l’accordo raggiunto in seguito alla convenzione “produce gli stessi effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali” che sarebbero intervenuti a definire i relativi procedimenti.

La normativa testè illustrata sembrerebbe, prima facie, non coinvolgere in alcun modo l’attività notarile. Eppure l’intervento del pubblico ufficiale è testualmente richiesto, ai sensi dell’art 5, comma 3, L. 162/2014, per autenticare le sottoscrizioni dell’accordo dei coniugi raggiunto a seguito della convenzione di negoziazione assistita, qualora con detti accordi si concludano contratti o si compiano atti soggetti a trascrizione.

Come noto, infatti, ai sensi dell’art. 2657 c.c., sono titoli per la trascrizione gli atti pubblici, le scritture private autenticate o le sentenze. Ergo, quanto meno l’autentica notarile è necessaria per la trascrizione di siffatto accordo, già in base alla disciplina codicistica.

L’intervento del Notaio è stato, dunque, esaltato dal provvedimento in commento, trattandosi dell’unico professionista/pubblico ufficiale perito nel campo delle transazioni e nella pubblicità immobiliari.

L’accordo oggetto di negoziazione assistita sarebbe sottoposto esclusivamente al vaglio dei legali delle parti, portatrici di interessi contrapposti, per quanto condivisa possa essere la decisione in ordine alle modalità di risoluzione della crisi coniugale. Di qui, la necessità di richiedere la presenza di almeno un avvocato per parte, inserita nella norma in sede di conversione.

Quanto al merito dell’accordo, il giudizio non spetterebbe al Notaio, ma bisogna tener conto dell’ampiezza di fattispecie concrete che si possono prospettare e della circostanza, ormai acclarata, che il pubblico ufficiale non è esentato dall’effettuare un controllo di legalità anche sulle scritture private che si limita ad autenticare.

Come accade, ormai sempre per prassi, sarebbe, pertanto, opportuno coinvolgere il Notaio autenticante nell’effettiva stesura dell’accordo, soprattutto ai fini della stabilità e validità del trasferimento immobiliare in esso contenuto, tanto con riguardo alle ispezioni nei Registri Immobiliari, quanto soprattutto alle menzioni obbligatorie per legge ai fini dei trasferimenti (id est clausole urbanistiche, sulla conformità catastale, sulla prestazione energetica).

Senza considerare il caso in cui, nel contenuto della negoziazione assistita, i coniugi vogliano inserire anche aspetti relativi alle rispettive successioni, che se non vagliati adeguatamente, potrebbero essere regolati in modo non conforme alle disposizioni di legge in materia di diritti dei legittimari, piuttosto che sfociare in patti successori vietati ex art. 458 c.c.

La valutazione dell’accordo da parte del Notaio, specializzato anche nel campo del diritto successorio, è auspicabile sin dalla prima stesura degli accordi anche per questo motivo.

Si pone, poi, un risvolto applicativo non trascurabile: l’applicabilità delle esenzioni fiscali previste per il divorzio dall’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n.74 ed estese alla separazione tra i coniugi dalla Sentenza di Corte Costituzionale n.154/99 del 10 maggio 1999 (Le suddette agevolazioni sono, peraltro estese agli onorari repertoriali notarili, come confermato dall'Ufficio Centrale degli Archivi Notarili con nota del 12 aprile 2006).

Ancorché la citata norma si esprima in termini piuttosto ampi (Art 19 comma 1 L 74/1987: “Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonchè i procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.), precedentemente dette agevolazioni erano comunque applicabili in seguito all’intervento giudiziale mediante omologa degli accordi di separazione o sentenza di separazione giudiziale oppure in seguito all’intervento notarile, mediante l’atto di trasferimento esecutivo del provvedimento giudiziale stesso. Oggi sembrerebbero estensibili alla negoziazione assistita, rispetto alla quale risulta, dunque, fondamentale l’intervento del pubblico ufficiale, volto ad avallare, come sostituto d’imposta, la sussistenza dell’esenzione.

Occorre, infine, sottolineare, che nulla esclude anche in occasione della negoziazione assistita, inserire nei relativi accordi solo risvolti patrimoniali obbligatori, cui dare esecuzione con successivo atto pubblico notarile. Si tratta, anzi, della soluzione più auspicabile, onde consentire l’esplicazione più puntuale del controllo di legalità notarile, come finora ed a tutt’ora accade rispetto agli accordi omologati o ai provvedimenti giudiziali che comportino trasferimenti patrimoniali tra coniugi.

2. La c.d. Legge sul divorzio “breve”

La Legge 6 maggio 2015 n. 55 ha introdotto il c.d. “divorzio breve”, consentendo ai coniugi di pervenire allo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale entro un anno in caso di separazione giudiziale oppure, addirittura, entro sei mesi in caso di separazione consensuale. Ai sensi dell’articolo 1 della normativa in commento, in entrambi i casi il dies a quo coincide con la comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale.

La normativa reca, inoltre, una modifica all’art 191 c.c., in base alla quale lo scioglimento della comunione legale si determina nel momento in cui il Presidente del Tribunale fa venir meno la comunione spirituale e la condivisione della residenza familiare, autorizzando i coniugi a vivere separati, nel caso di separazione giudiziale, oppure dalla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale.

Si tratta di una modifica di rilevante interesse notarile, basti pensare, ad esempio, alla stipula di un atto dispositivo di un bene in comunione legale in pendenza del procedimento di separazione.

La congiunzione disgiuntiva “ovvero” sottolinea la netta distinzione tra le due ipotesi sopra indicate. Nulla quaestio in caso di separazione consensuale, ove la comunione viene sciolta in seguito ad un provvedimento definitivo, quale l’omologazione degli accordi da parte dell’autorità giudiziale. Più problematico il caso della separazione giudiziale, quando l’effetto dipende da un provvedimento interinale: l’autorizzazione a vivere separati, contenuta nell’ordinanza, ai sensi dell’art 708 cpc (In tal senso Mauro Leo, “Lo scioglimento del regime di comunione legale dei beni in caso di separazione personale”, in CNN Notizie del 27 maggio 2015).

In primo luogo, pur trattandosi di ipotesi assolutamente residuale, il suddetto provvedimento potrebbe non contenere l’autorizzazione a vivere separati, dal momento che detta autorizzazione vale già ope legis, ex art 146, comma 2, c.c..

Dubbia è, poi, la natura giuridica del provvedimento de quo. Si discute, infatti, se si tratti di provvedimento di volontaria giurisdizione oppure di provvedimento cautelare ed, in relazione alla diversa natura, diversamente si configura la sua esecutività.

Nel primo caso, ai sensi dell’art 741 c.p.c., l’ordinanza sarebbe reclamabile entro 10 giorni dalla notificazione presso la Corte d’Appello ed acquisterebbe, pertanto, efficacia decorsi i termini per il reclamo. Nel secondo caso, invece, ai sensi dell’art 669-terdecies c.p.c. il reclamo non sospenderebbe l’esecuzione del provvedimento.

Il dibattito è ancora molto vivido, pertanto è consigliabile adottare la massima cautela e sposare la prima tesi, ritenendo che ai fini dell’esecutività dovrebbe attendersi, quanto meno, l’inutile decorso del termine per il reclamo. A tal fine, è altamente opportuno che il Notaio investito della stipula, verifichi l’inutile decorso dei termini per il reclamo, anche dotandosi di un certificato di mancata opposizione da parte della cancelleria del Tribunale competente.

La disposizione in commento prosegue precisando che l’ordinanza che autorizza i coniugi a vivere separati viene, poi, comunicata all’Ufficiale di Stato Civile ai fini dell’annotazione.

La norma, peraltro, impone la pubblicità del provvedimento nei Registri dello Stato civile relativamente alla sola ordinanza, in quanto l’annotazione dell’omologa è già prevista ai sensi dell’art 69 lett d) D.P.R. 396/2000.

Grazie alla pubblicità del provvedimento, forse potrebbe essere by-passato il problema della sua esecutività. Attribuendo, infatti, alla pubblicità in questione l’efficacia dichiarativa tipica che le compete nei rapporti patrimoniali tra coniugi, dal momento dell’annotazione il provvedimento e l’effetto ad esso collegato sarebbero opponibili ai terzi. Ci si potrebbe, poi, interrogare circa l’opportunità di trascrivere siffatto provvedimento, dati gli effetti che esso determina, ai fini della pubblicità-notizia ex art 2647 c.c..

fonte: www.quotidianogiuridico.it//Separazione e divorzio breve: le nuove norme di semplificazione | Quotidiano Giuridico

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