In materia di sostanze stupefacenti, con riferimento alle ipotesi di illeciti riguardanti sostanze stupefacenti leggere, va annullata la sentenza di patteggiamento per il reato di cui all'articolo 73 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 che abbia applicata una pena secondo i parametri edittali meno favorevoli previsti dalla disciplina sanzionatoria introdotta dalla legge n. 49 del 2006 dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, pur quando la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall'originaria formulazione della norma, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità. (Cassazione penale Sentenza 28/07/2015, n. 33040)
Il quadro di riferimento
Le ragioni dell’intervento delle Sezioni unite si spiegano con gli effetti determinati sulla disciplina sanzionatoria degli stupefacenti dalla sentenza n. 32 del 2014 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – per violazione dell’articolo 77, comma 2, della Costituzione – degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, come convertito con modificazioni dall’articolo 1 della legge 21 febbraio 2006 n. 49.
A seguito della dichiarazione di incostituzionalità, come è noto, è tornata a doversi applicare la disciplina dei reati sugli stupefacenti contenuta nel dpr n. 309 del 1990, nella versione precedente alla novella del 2006: ossia, nel testo introdotto dalla legge Vassalli –Iervolino.
In particolare, ne è derivato, per le droghe “leggere”, il ritorno alla più favorevole previgente normativa contenuta nella legge Vassalli-Iervolino: il “recupero” del previgente articolo 73, comma 4, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 determina che, per le droghe “leggere” [tabelle II e IV], devono ora applicarsi le sanzioni della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.164 a euro 77.468, mentre il trattamento sanzionatorio previsto nel comma 1 dello stesso articolo 73, nel testo introdotto dalla Fini-Giovanardi, prevedeva le più gravi sanzioni della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000.
Le questioni controverse.- Le questioni sottoposte al vaglio delle Sezioni unite riguardano proprio i fatti commessi nella vigenza della legge dichiarata incostituzionale, con riferimento all’innovato più favorevole trattamento sanzionatorio delle “droghe leggere”, ora previsto dall’articolo 73, comma 4, del dpr n. 309 del 1990.
Due i quesiti sottoposti alla Corte.
In primo luogo, quello dei limiti entro cui può essere esaminata d’ufficio, davanti alla Corte di cassazione, l’illegalità della pena conseguente al novum normativo determinato dalla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale.
In secondo luogo, con specifico riguardo alle sentenze di “patteggiamento”, quello dei limiti entro cui possa o debba essere annullata la sentenza di patteggiamento che abbia applicata una pena secondo i parametri edittali meno favorevoli previsti dalla disciplina sanzionatoria dichiarata incostituzionale.
Su entrambe le questioni vi era contrasto di giurisprudenza.
Il contrasto sulla rilevabilità d’ufficio dell’illegalità della pena
Sulla prima questione, si erano formati, infatti, tre diversi orientamenti.
Secondo un primo orientamento, infatti, l’illegalità della pena in conseguenza della pronunzia di illegittimità costituzionale era rilevabile d’ufficio, anche in caso di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza o di assenza di specifica doglianza (cfr., tra le altre, Cassazione, Sezione IV, 15 maggio 2014, Kure; nonché, Cassazione, Sezione VI, 6 marzo 2014, Rubino ed altri).
Secondo altro orientamento, invece, la questione dell’illegalità della pena era valutabile in sede di legittimità solo a condizione che con i motivi originari del ricorso – o quantomeno con i motivi aggiunti- la Cassazione sia sta investita del controllo della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio inflitto (cfr., tra le altre, Cassazione, Sezione VI, 26 marzo 2014, Lampugnano ed altro).
Secondo un terzo orientamento, infine, l’inammissibilità del ricorso precludeva la rilevabilità d’ufficio della sopravvenuta illegalità della pena (cfr., in particolare, Cassazione, Sezione IV, 6 maggio 2014, Valle).
La soluzione
Le Sezioni unite hanno recepito il primo orientamento, valorizzando, a supporto, i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità e della CEDU, in forza dei quali si riconosce al giudice il potere-dovere di intervenire, anche successivamente al giudicato, su una sanzione penale che risulti successivamente convenzionalmente o costituzionalmente illegittima (per tutte, cfr. Cassazione, Sezioni unite, 29 maggio 2014, Gatto, nonchè Cassazione, Sezioni unite, 24 ottobre 2013, Ercolano), affermando così che l’illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalità riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso.
Non ostano quindi alla rilevabilità d’ufficio né la manifesta infondatezza del ricorso nel merito, né la circostanza che i motivi del ricorso neppure abbiano riguardato il trattamento sanzionatorio.
L’unico limite individuato dalle Sezioni unite concerne l’inammissibilità del ricorso derivante dalla tardività della relativa presentazione. Infatti, ha sostenuto la Corte, nel caso di ricorso inammissibile perché tardivamente proposto, si è in presenza di un gravame sin dall’origine inidoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, in quanto il decorso del termine derivante dalla mancata proposizione del gravame ha già trasformato il giudicato sostanziale in giudicato formale (Cassazione, Sezioni unite, 22 novembre 2000, De Luca). In questo caso, il giudice dell’impugnazione il giudice dell’impugnazione deve limitarsi a verificare il decorso del termine e a prenderne atto.
Va solo soggiunto che la questione dell’applicabilità della normativa più favorevole, rispetto a quella deteriore dichiarata incostituzionale, pur non potendosi fare valere nel giudizio per la tardività del ricorso, potrebbe sempre porsi in sede esecutiva (per riferimenti, la citata sentenza delle Sezioni unite, Gatto).
Il contrasto sulle sentenze di “patteggiamento”
Anche sull’altra questione risolta dalle Sezioni unite la giurisprudenza era divisa.
Secondo un primo orientamento, infatti, doveva procedersi all’annullamento senza rinvio della sentenza sia nell’ipotesi in cui la pena applicata risultasse eccedente rispetto al limite edittale massimo reintrodotto per effetto della citata sentenza della Corte costituzionale, sia nell’ipotesi in cui essa si rivelasse rispettosa anche della nuova forbice sanzionatoria, perché il contenuto dell’accordo non sarebbe stato ragionevolmente il medesimo ove non fosse stata in vigore la normativa dichiarata incostituzionale, dacchè il computo della pena sarebbe stato effettuato in maniera diversa (cfr., tra le altre, sotto diversi profili, Cassazione, Sezione IV, 14 maggio 2014, Manfrè; Cassazione, Sezione IV, 10 aprile 2014, Monaco).
Secondo altro orientamento, invece, l’illegalità della pena non conseguiva automaticamente alla declaratoria di incostituzionalità, dovendosi verificare comunque l’adeguatezza della pena applicata al caso concreto (cfr. Sezione III, 12 giugno 2014, Tirocchi).
Secondo un ulteriore orientamento, infine, la sentenza era da annullare soltanto ove la pena base concordata dalle parti avesse ecceduto i limiti edittali previsti dalla normativa antecedente alla legge n. 49 del 2006 dichiarata incostituzionale, mentre nel caso in cui la pena concordata fosse comunque compresa entro i limiti edittali nuovamente vigenti dopo la decisione della Corte costituzionale non ne conseguiva alcun effetto sulla sentenza di patteggiamento.
La soluzione
Le Sezioni unite hanno recepito il primo orientamento, conseguendone che, con riferimento alle ipotesi di illeciti riguardanti sostanze stupefacenti “leggere”, va annullata la sentenza di patteggiamento per il reato di cui all’articolo 73 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 che abbia applicata una pena secondo i parametri edittali meno favorevoli previsti dalla disciplina sanzionatoria introdotta dalla legge n. 49 del 2006 dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, pur quando la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione della norma, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità.
A supporto della soluzione adottata, vale del resto osservare che l’accordo “pattizio” intervenuto nella vigenza della legge dichiarata incostituzionale si era ovviamente formato avendo riguardo ai limiti edittali a quel momento vigenti, con la conseguenza che sarebbe stato ragionevolmente diverso in presenza di limiti edittali completamente diversi, nel minimo e nel massimo, quali quelli fatti rivivere dalla Corte costituzionale.
Inoltre, a prescindere da quella che sarebbe stata la volontà delle parti [ragionevolmente diversa, proprio in ragione dei diversi limiti edittali], è indubbio che il diverso ambito edittale aveva costituito la base dell’apprezzamento giudiziale sulla “congruità” della pena e anche tale apprezzamento ben può ipotizzarsi sarebbe stato diverso avendo riguardo ai nuovi limiti edittali [pur essendo questi ultimi più favorevoli per l’imputato].
La soluzione patrocinata dalle Sezioni unite determina che la Cassazione chiamata a giudicare del “patteggiamento” intervenuto su una pena rivelatasi ex post illegale, per essere cambiati i limiti edittali della pena, non può che “annullare senza rinvio” la decisione, rimettendo le parti nella posizione processuale antecedente all'accordo, restando libere le parti medesime di concordare una nuova pena ovvero di proseguire con il giudizio ordinario.
Esito del ricorso:
Annullamento senza rinvio e ritrasmissione degli atti al Tribunale per l’ulteriore corso
fonte: www.quotidianogiuridico.it//L'illegalità sopravvenuta della pena per le droghe leggere travolge il "patteggiamento" - Il Quotidiano Giuridico
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lunedì 3 agosto 2015
L'illegalità sopravvenuta della pena per le droghe leggere travolge il "patteggiamento"
Lo Studio Legale Mancino si occupa di tutte le fasi dell'assistenza legale in sede penale, sia per la difesa delle persone sottoposte a procedimento, sia per la tutela delle vittime di reato come parti civili. Lo Studio opera anche in tutti gli ambiti del diritto civile, dalla contrattualistica, al diritto di famiglia, separazioni e divorzi, successioni, diritti reali, assicurazioni e responsabilità civile, diritto bancario, nonché nel settore del diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali. L'Avv. Emiliano Mancino è abilitato alla difesa di fronte alla Corte di Cassazione. E' iscritto alle liste per il patrocinio a spese dello Stato. Lo Studio è a disposizione dei Colleghi che hanno necessità di collaborazione e/o di domiciliazione per tutti gli uffici giudiziari compresi nelle circoscrizioni dei Tribunali di Ferrara e Bologna.
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